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La Corea del sud vieta la carne di cane, ed è una notizia anche politica

Giulia Pompili

Il divieto entrerà in vigore fra tre anni. Per rafforzare il suo soft power all'estero Seul elimina uno dei più importanti motivi d'imbarazzo internazionale, ma è anche una perfetta operazione simpatia per la first lady e il presidente Yoon Suk-yeol

Solo due astenuti, 208 voti a favore e zero (zero!) contrari: l’Assemblea nazionale sudcoreana, cioè il Parlamento monocamerale di Seul, ha approvato oggi una legge di cui si parla ormai da anni che vieta l’allevamento e la macellazione di cani per il consumo umano, e anche la vendita di prodotti a base di carne di cane. La legge entrerà in vigore fra tre anni, per dare il tempo agli allevatori e ai ristoranti sul territorio nazionale di chiudere o trasformare il loro business – già molto in difficoltà da un qualche anno.

In realtà è difficile quantificare il numero esatto di allevamenti esistenti in Corea del sud: i dati delle associazioni del settore dicono che sarebbero attualmente attivi fra i tremila e i quattromila allevamenti, ma secondo gli attivisti il numero non supererebbe il migliaio. L’industria ha sempre cercato di pompare i numeri per dimostrare che il contraccolpo economico sarebbe stato troppo duro da assorbire per il paese in caso di divieto totale, quello che però oggi è arrivato ufficialmente.

Del resto per le strade della scintillante Seul è quasi impossibile trovare un ristorante che serva carne di cane nel menù, e i posti specializzati restano fuori, nelle campagne, frequentati soprattutto dalle vecchie generazioni. In ogni caso, già da tempo in difficoltà, come pure i pochi mercati dove si può acquistare la carne, ormai rarissimi e praticamente vietati per giovani e turisti stranieri. Per la Corea del sud che vuole mostrarsi al mondo come esempio virtuoso di paese asiatico occidentalizzato, evoluto e democratico, l’allevamento e il consumo di carne di cane è da anni motivo di imbarazzo. Soprattutto perché nel frattempo i cani sono diventati animali da compagnia – quasi un’ossessione, si direbbe, e non è difficile incontrare per le grandi città cagnolini a spasso su passeggini e vestiti Louis Vuitton: in generale, come pure accadde in Cina, il cane è diventato a tutti gli effetti un animale da compagnia, e non più cibo, oltre che lo status symbol di un certo tipo di benessere economico.

L’approvazione della legge è una grande vittoria per l’Amministrazione del presidente Yoon Suk-yeol ma soprattutto una sorta di operazione simpatia nei confronti della coppia presidenziale, che da tempo precipita nei sondaggi di gradimento, e dell’attuale first lady, l’eterea Kim Keon-hee. Sin dall’inizio del mandato di Yoon, nel maggio del 2022, Kim si è trasformata in un’attivista per l’ambiente e la protezione degli animali, e aveva promesso l’approvazione di questa legge.

Da tempo gran parte della politica sudcoreana ruota attorno ai cani. Poco più di un anno fa l’ex presidente sudcoreano Moon Jae-in era stato “costretto” a dare via due Pungsan bianchi,  Gomi e Songgang, che gli erano stati donati dal leader nordcoreano Kim Jong Un durante un summit tra i due nel 2018. Dopo che Moon aveva finito il suo mandato presidenziale, aveva tenuto i due cani ma continuava a ricevere il sostegno economico governativo per questo – sostegno che Yoon, appena eletto, aveva cancellato. Per giorni sui giornali coreani si era parlato dei due cani che erano diventati motivo di scontro tra i due politici.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.