L'inchiesta

"Nelle università occidentali è in corso un boicottaggio informale d'Israele"

Giulio Meotti

Il 7 ottobre ha fatto accelerare il fenomeno. “Nelle istituzioni statunitensi sarà difficile trovare qualcuno disposto ad accettare i ricercatori israeliani” dice Rachelle Alterman, professoressa al Technion, il MIT israeliano

“Stiamo avvertendo un boicottaggio informale che include il rifiuto di accettare e rivedere le pubblicazioni di studiosi israeliani, il rifiuto di offerte di partecipare a conferenze in Israele e la fine degli inviti a conferenze all’estero”. Così ad Haaretz la professoressa Rivka Carmi, ex presidente dell’Università Ben-Gurion del Negev. “Ci sono studiosi che si rifiutano di prendere in considerazione i curriculum degli scienziati israeliani”. Le possibilità che i ricercatori israeliani vengano accettati per un postdoc all’estero sono diminuite di una percentuale a due cifre. Rivela Rachelle Alterman, professoressa al Technion, il MIT israeliano: “Nelle istituzioni statunitensi sarà difficile trovare qualcuno disposto ad accettare i ricercatori israeliani”.

Ogni fase della carriera di un ricercatore israeliano dipende dai suoi legami con l’estero: trovare un istituto che lo accetti per il post-dottorato; pubblicazione di articoli su importanti riviste; richiedere assegni di ricerca a fondazioni e ricevere valutazioni da colleghi stranieri. “Alcune istituzioni straniere hanno interrotto il processo per paura che i ricercatori israeliani non siano in grado di garantire le valutazioni necessarie per il progresso”, afferma David Levi Faur dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Alterman del Technion afferma: “Tutte le associazioni scientifiche nel mio campo si sono rifiutate di sostenere Israele o hanno pubblicato una dichiarazione neutrale. Oggi negli  è politicamente corretto essere anti-israeliani, che in realtà significa antisemiti”. Anche Itay Halevy del del Weizmann Institute  e attuale presidente della Israel Young Academy racconta: “I ricercatori israeliani stanno cominciando a sperimentare la cancellazione di collaborazioni da parte di colleghi all’estero”. Il presidente dell’Università di Haifa, Ron Robin, parla di “un’ostilità verso gli israeliani anche in posti come le scuole di medicina; questo è ancora più spaventoso. In passato il problema si concentrava nei dipartimenti di discipline umanistiche e di scienze sociali”. Questo boicottaggio informale è all’opera da anni e il 7 ottobre ha soltanto accelerato il fenomeno

Il professor Moty Cristal, uno dei maggiori esperti israeliani nella gestione dei conflitti, avrebbe dovuto partecipare a Manchester, in Inghilterra, a una conferenza organizzata dal servizio sanitario britannico. Ma il maggiore sindacato del settore pubblico del Regno Unito, Unison, ha fatto pressione sugli organizzatori perché ritirassero l’invito a Cristal. La rivista inglese “The Translator”, diretta dall’accademica Mona Baker, ha deciso di boicottare le istituzioni universitarie israeliane, e, pertanto, ha chiesto a due studiosi israeliani, Gideon Toury e Miriam Shlesinger, che facevano parte del comitato direttivo della rivista, di rassegnare le dimissioni. Oren Yiftachel dell’Università israeliana Ben Gurion si è visto rifiutare una ricerca con una nota che lo informava che il giornale al quale l’aveva inviata, il “Political Geography”, non accettava più niente che provenisse dallo stato degli ebrei. Il professor Richard Seaford della Exeter University si è rifiutato di recensire un libro per la rivista “Scripta Classica Israelica”. Ingrid Harbitz, ricercatrice della Scuola di veterinaria di Oslo, si è rifiutata di spedire un campione di sangue al Goldyne Savad Institute di Gerusalemme. La scienziata norvegese ha risposto così a una richiesta di Evelyne Zeira, ricercatrice dell’Hadassah Medical Center di Gerusalemme: “Ho ricevuto il suo messaggio con la richiesta del clone di cDNA EPO. A causa della situazione attuale in Medio Oriente non voglio consegnare qualsiasi materiale a un’università israeliana”. Il patologo di Oxford Andrei Wilkie ha rifiutato ogni richiesta di dottorato proveniente da Israele. Ma anche nel mondo dell’editoria

Un editore israeliano voleva acquisire i diritti degli ultimi due libri dell’autrice britannica Kamila Shamsie, premiata e apprezzata scrittrice britannica. I suoi primi libri furono pubblicati in Israele nel 2010 da Keter. Da allora ha pubblicato altri due libri e l’editore voleva acquistare anche quelli. La risposta è arrivata: “’Sfortunatamente, non potrò condividere il lavoro dell’autore con i lettori ebraici in questo momento’ ha risposto l’agente di Shamsie”. Quando l’editore ha chiesto chiarimenti, la risposta è arrivata da Shamsie: “Sarei molto felice di essere pubblicata in ebraico, ma non conosco editore ebraico che non sia israeliano”. “Ho incontrato casi del genere diverse volte”, afferma Ornit Cohen-Barak, editor della serie di pubblicazioni di editori di Modan. “Come Christos Tsiolkas, uno scrittore australiano di origine greca (la serie televisiva ‘The Slap’ è basata sul suo omonimo libro). Mi è stato detto che non è disposto a essere pubblicato in Israele a meno che non pubblichiamo un’edizione in arabo per i palestinesi.

“Quando abbiamo rifiutato ci ha informato che non era disposto”. Deborah Harris è uno dei principali agenti letterari di Israele (David Grossman, per citarne uno, assieme a Meir Shalev). Negli ultimi dieci anni, Harris ha scoperto che alcuni editori in tutto il mondo stanno rifiutando le opere di autori israeliani, boicottando gli eventi letterari israeliani e rifiutandosi di tradurre i loro libri. “Libri che avrei potuto facilmente piazzare con i principali editori dieci anni fa sono stati educatamente respinti”. Eshkol Nevo, i cui libri sono stati tradotti in inglese, italiano e tedesco, non trova editori in alcuni paesi europei.  “Non sono stato tradotto nei paesi scandinavi e le persone con cui lavoro mi hanno detto che il boicottaggio è la ragione”. 

Non risultano accademici o editori occidentali che abbiano boicottato la Turchia o la Cina, dove gli scrittori languono a decine in carcere e dove un premio Nobel per la Pace, come lo scrittore Liu Xiaobo, ci è anche morto dietro le sbarre. Ai boicottatori interessa soltanto dare addosso a Israele, l’unico società aperta di tutto il medio oriente.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.