(foto EPA)

L'editoriale del direttore

Difendere gli ebrei con i fatti. Appello ai leader

Claudio Cerasa

Mettere da parte le bandierine e scendere in piazza martedì a Roma per dire mai più e ricordare che contro l’antisemitismo non ci possono essere divisioni. Parlare è un conto. Metterci la faccia è un altro

Parlare è un conto. Metterci la faccia è un altro. L’eccezionalismo italiano sulla difesa di Israele è un tratto culturale di cui andare orgogliosi. Dal 7 ottobre a oggi, pochi paesi in giro per l’Europa hanno avuto la fortuna di avere una classe dirigente politica che ha fatto tutto il necessario per condannare senza appello e senza ambiguità lo sterminio compiuto due mesi fa dai terroristi di Hamas e per fare qualcosa per aggiungere, pur da posizioni differenti, un tassello più o meno grande al grande mosaico della lotta contro l’antisemitismo. L’eccezionalismo italiano ha retto nonostante diverse valutazioni critiche arrivate nel corso del tempo, specie dal fronte politico progressista, contro l’entità dell’azione difensiva portata avanti dall’esercito guidato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma anche qui, a differenza di altri paesi europei, non si registra alcuna dichiarazione dell’opposizione e della maggioranza che possa lasciare intendere, anche lontanamente,  un’equivalenza tra il pogrom dei terroristi e l’azione difensiva di Israele.

Qualcuno ha criticato gli eccessi dell’operazione di Israele. Qualcuno ha fatto proprie le parole con cui le Nazioni Unite hanno provato a delegittimare Israele. Qualcuno ha fatto finta di non capire che differenza vi è tra un gruppo di terroristi che usa la sua popolazione per difendere se stesso e un esercito che usa i militari per difendere la sua popolazione. Ma le critiche mosse in questi mesi a Israele, in Italia, nel mondo della politica, sono apparse essere figlie più di un odio nei confronti di  Netanyahu che di un odio nei confronti del popolo ebraico.

 

E il discorso vale per tutti i principali leader politici italiani. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, rispettivamente leader di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, hanno difeso con forza, in queste settimane, Israele, compiendo atti concreti anche per delegittimare ogni forma di antisemitismo. E dall’altra parte, anche Elly Schlein, anche Giuseppe Conte, anche Matteo Renzi, anche Carlo Calenda e anche Riccardo Magi hanno fatto tutto il necessario per mostrarsi sensibili contro la piaga dell’antisemitismo (criticare Israele può essere detestabile, in un momento come questo in cui il popolo ebraico ha rivissuto sulla propria pelle gli stessi metodi utilizzati ai tempi dei rastrellamenti nazisti e ai tempi dei pogrom sovietici, ma criticare Israele non è necessariamente una manifestazione di antisemitismo, o almeno non lo è sempre). Per questo motivo la manifestazione contro l’antisemitismo che si terrà martedì a Roma, organizzata dalle comunità ebraiche italiane, si presenta in modo molto diverso rispetto a manifestazioni analoghe che vi sono state nelle ultime settimane a Londra (27 novembre) e Parigi (12 novembre). In quei casi, le manifestazioni nascevano in risposta a diverse e ripetute adunate di cittadini desiderosi di portare acqua al mulino della propaganda antisemita (“From the river to the sea, Palestine will be free”). In Italia, invece, la manifestazione nasce anche per rivendicare una sensibilità speciale che esiste nel nostro paese sul tema dell’antisemitismo. Una sensibilità forse non così forte come quella che ha mostrato in queste settimane la Germania ma che comunque ha portato la classe politica italiana a riconoscersi pienamente nella posizione assunta in queste settimane da Sergio Mattarella quando ha detto, per esempio, che “le azioni militari devono tenere conto delle vittime civili, ma non si può mettere sullo stesso piano (rispetto all’azione di Israele, ndr) la deliberata azione di Hamas di colpire civili inermi”.

 

Parlare però è un conto. Metterci la faccia però è un altro conto. E per questo, anche per rivendicare l’eccezionalismo italiano, i principali leader italiani dovrebbero trovare il coraggio di fare uno sforzo, di mettere da parte le bandierine e di firmare insieme un appello per aderire, senza ambiguità, con piglio trasversale, alla manifestazione di martedì a Roma a piazza del Popolo (ore 19). Bastano tre righe. Semplici. “Aderiamo alla manifestazione contro l’antisemitismo. Sul come uscire dalla crisi in medio oriente si possono avere idee diverse. Ma sul fatto che l’Italia debba fare tutto il possibile per combattere l’antisemitismo non ci possono essere divisioni”. Avere idee diverse sul futuro del conflitto in medio oriente non è uno scandalo. Lo scandalo sarebbe cancellare il 7 ottobre. E per non cancellare il 7 ottobre c’è un solo modo: scendere in piazza senza bandierine per ricordare che difendere la libertà oggi significa anche difendere chi è tornato a essere perseguitato solo perché ha la grave colpa di essere ebreo. “Il picco di antisemitismo che stiamo vivendo in questo momento – ha detto due giorni fa Chuck Schumer, ebreo, progressista, formidabile capo dei senatori democratici al Senato americano – è iniziato dopo il peggior esempio di violenza commessa contro gli ebrei dai tempi dell’Olocausto. Il vetriolo contro Israele in seguito al 7 ottobre sta troppo spesso oltrepassando il limite dell’antisemitismo sfacciato e diffuso, del genere che non vedevamo da generazioni. Ecco perché dobbiamo nominarlo chiaramente ogni volta che lo vediamo. Quando organizzi boicottaggi contro le imprese ebraiche che non hanno nulla a che fare con Israele: questo è antisemitismo. Quando le svastiche appaiono sulle gastronomie dell’Upper East Side: questo è antisemitismo. Quando i manifestanti gridano agli ebrei americani: ‘Hitler avrebbe dovuto distruggervi!’: questo è antisemitismo. Quando una senatrice ebrea viene violentemente minacciata per le sue opinioni su Israele: questo è antisemitismo. Quando gli studenti nei campus universitari che indossano uno yarmulke o mostrano una stella ebraica vengono molestati, diffamati verbalmente, spinti e persino sputati e presi a pugni: questo è antisemitismo. Quando una manifestazione filoisraeliana viene descritta come una manifestazione d’odio: questo è antisemitismo. Non importa quali siano le nostre convinzioni, non importa la nostra posizione riguardo alla guerra a Gaza tutti noi dobbiamo condannare l’antisemitismo con piena chiarezza ogni volta che lo vediamo, prima che si trasformi in qualcosa di ancora peggiore”.

 

Non importa quali siano le nostre convinzioni. Oggi ciò che conta è non voltarsi dall’altra parte, fare uno sforzo, mettere da parte le bandierine e scendere in piazza, insieme, per dire mai più e ricordare che per combattere l’antisemitismo non ci possono essere divisioni. Parlare è un conto. Metterci la faccia ne è un altro.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.