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La riflessione

Il buio di Israele. Così è fallita l'“intelligence 2.0”

Giulio Meotti

Il 7 ottobre è crollato il confine che doveva essere invalicabile. Eppure non sono mancati gli avvertimenti

Hamas aveva costruito persino delle finte comunità israeliane per addestrarsi a un assalto su vasta scala, terminando un’esercitazione con le parole: “Abbiamo ucciso tutti nel kibbutz”. Ma gli avvertimenti dell’intelligence erano in gran parte stati liquidati come “fantasia”. I video mostrano i terroristi di Hamas che si addestrano in queste finte comunità israeliane, vanno di stanza in stanza uccidendo persone, facendosi strada attraverso cancelli dipinti di giallo come quelli dei kibbutz di confine e prendendo in ostaggio civili e soldati. Uno dei luoghi era a meno di un chilometro dal confine con Israele. Secondo il programma di notizie investigativo israeliano “Uvda”, un sottufficiale anziano, identificato solo dalla prima iniziale “Vav”, aveva inviato il 6 luglio un’email ai superiori con oggetto: “Morte nel kibbutz a qualsiasi prezzo”. Gli avvertimenti prevedevano accuratamente gli eventi del 7 ottobre. Vav aveva descritto come Hamas avesse costruito il modello di un kibbutz, arrivando a dargli un nome e a issare la bandiera islamica sulla sinagoga. “Lo scenario dell’esercitazione descritto dal sottufficiale è una completa fantasia: dobbiamo distinguere tra ciò che Hamas sta facendo per spavalderia e spettacolo, e ciò che è reale”, gli avevano risposto.


Yitzhak Brick è l’unico alto ufficiale militare israeliano ad aver previsto il 7 ottobre. “Potrebbe esserci un massacro, lo stato di Israele non ha ancora riconosciuto il pericolo”, aveva avvertito Brick. “Abbiamo la sensazione che tutto vada bene e che non vi sia alcuna minaccia, ma all’opinione pubblica non viene detto che Hamas si sta preparando. Attraverseranno il confine a piedi e attaccheranno e occuperanno i nostri insediamenti nel sud. La probabilità che ciò accada è molto alta. Hamas lancerà granate nei bunker e nei rifugi e farà un massacro”. Brick aveva detto queste parole mesi fa, ma nessuno ha voluto ascoltarlo. Aveva aggiunto che la tecnologia da sola non era sufficiente per vincere le guerre. “La verità è che una realtà immaginaria è stata creata dallo stato maggiore e diffusa in tutto l’esercito. I soldati hanno perso la motivazione e lo spirito combattivo negli ultimi anni e molti non sono pronti ad andare in battaglia. Ho visto soldati che non si prendono cura delle loro armi prima di lasciare la base. Nessun esercito al mondo si comporta così. I soldati portano con sé i loro smartphone ovunque. I comandi vengono inviati tramite gruppi WhatsApp. Questi telefoni vengono monitorati dal nemico. Siamo impazziti?”. Brick venne definito “delirante”.

 

Sabato 7 ottobre, l’ex capo del Mossad Yossi Cohen era a casa a Modi’in. Il telefono ha iniziato a squillare e lui ci ha messo poco a capire l’entità dell’orrore. “Un’operazione su così vasta scala, con un livello così preciso dell’esecuzione, con squadre addestrate che tengono in mano diagrammi schematici di un’operazione di cui abbiamo visto il risultato, in cui c’è una forza addestrata, competente, ben equipaggiata sia a livello militare che di intelligence, questo non è qualcosa che viene preparato sul momento, ma in lunghi mesi, quindi il fallimento dell’intelligence è inimmaginabile”, dirà Cohen. Anche le forze israeliane di sorveglianza delle frontiere, prevalentemente donne, conosciute come “tatzpitaniyot”, “vedette” in ebraico, avevano avvertito i superiori delle attività insolite a Gaza, come guerriglieri palestinesi che si addestravano con esplosivi o provavano attacchi contro un finto posto di osservazione. 

 

Conosciuti come gli “occhi dell’esercito”, i tatzpitaniyot utilizzano telecamere e sensori di sicurezza per monitorare un tratto di territorio compreso tra 15 e 30 chilometri di cui sono responsabili. La sorveglianza comprende qualsiasi piccolo cambiamento nell’attività, compresa la routine degli agricoltori. Il lavoro richiede pazienza, concentrazione e ore trascorse a monitorare gli schermi. I tatzpitaniyot, soprattutto quelli della base di Nahal Oz, uno dei numerosi kibbutz invasi il 7 ottobre, avevano segnalato movimenti insoliti lungo il confine di Gaza nei giorni precedenti il pogrom. Ma c’era un prezzo da pagare all’illusione. Israele aveva speso un miliardo di dollari per costruire la barriera lungo Gaza. Doveva essere il “recinto che porrà fine a tutti i recinti”. Un multistrato metallico, acciaio e cemento che integrava una rete di telecamere, sensori, radar e sistemi d’arma telecomandati, monitorato da dozzine di torri che fungevano da hub di dati e posti di osservazione ad alta tecnologia. Un muro progettato per fermare l’infiltrazione. “Questa barriera, un progetto creativo e tecnologico di prim’ordine, nega ad Hamas una delle capacità che ha cercato di sviluppare e pone un muro di ferro, sensori e cemento tra lui e gli abitanti del sud di Israele”, aveva dichiarato appena tre anni fa l’allora ministro della Difesa, Benny Gantz, durante una cerimonia di inaugurazione. “La barriera sta cambiando la realtà e ciò che è accaduto in passato non accadrà più”, aveva aggiunto l’allora capo di stato maggiore Aviv Kohavi.

   
E poi un attacco come il 7 ottobre non avrebbe dovuto essere possibile mentre era in carica Benjamin Netanyahu. Era, come dicevano i suoi accoliti, “Mr Sicurezza”. Voleva essere ricordato come “il protettore di Israele”. Si era vantato del fatto che Israele non aveva mai conosciuto un periodo più pacifico e prospero dei sedici anni in cui è stato al potere (più di David Ben Gurion). Fu Netanyahu a lanciare il sistema Iron Dome per intercettare i razzi provenienti da Gaza. Uno scudo da terra e dal cielo. L’attacco del 7 ottobre ha mandato in frantumi queste presunzioni. Colto di sorpresa, l’esercito israeliano è sembrato immobilizzato, incapace di riprendere il controllo di alcune città e kibbutz per più di un giorno. Prima di tutto un fallimento di immaginazione. “Nell’intelligence israeliana, così come tra i decisori politici e ai massimi livelli militari, aveva preso piede un pensiero di gruppo ampiamente condiviso: vale a dire che Hamas si stava adattando ai doveri di governo” scrive Amnon Sofrin, l’ex capo sezione intelligence del Mossad. “Israele era disposto a garantire che la situazione economica nella Striscia di Gaza migliorasse – consentendo la consegna mensile di denaro dal Qatar (in valigie – poiché l’Autorità palestinese ha bloccato l’uso del sistema bancario per queste transazioni); e consentendo a più persone provenienti da Gaza di lavorare in Israele. L’ipotesi del governo era che la leadership di Hamas non avrebbe avuto alcun incentivo a lanciare un nuovo confronto con Israele poiché avrebbe continuato a concentrarsi sul miglioramento della vita dei residenti di Gaza”.

  

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Questo “pensiero di gruppo” si è riaffermato quando Hamas ha scelto due volte, nell’agosto 2022 e nel maggio 2023, di restare fuori dai combattimenti quando Israele ha attaccato i leader del Jihad islamico a Gaza, provocando brevi cicli di combattimenti. “Dato che ai livelli più alti prevaleva la convinzione collettiva che Hamas fosse scoraggiato, anche i livelli operativi e tattici avevano questa impressione. Hanno fatto troppo affidamento sulla tecnologia”. Un fallimento senza precedenti per lo Shin Bet, il cui motto è “Magen VeLo Yera’e”, scudo invisibile, i leggendari servizi segreti interni d’Israele, politicamente ostili a Netanyahu. Un fallimento senza precedenti per l’“unità 8200”, che impiega gli israeliani più dotati in matematica, criptoanalisi e informatica, la famosa “start up nation”. E grazie al loro livello fenomenale nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica diversi membri della 8200, una volta tornati alla vita civile, hanno spesso dato vita a società quotate al Nasdaq di New York e sono diventati milionari (come l’ex premier Naftali Bennett). Tra i successi più noti dell’Unità si ricorda l’intercettazione di una famosa conversazione tra il presidente egiziano Nasser e re Hussein di Giordania il primo giorno della Guerra del sei giorni, il colloquio tra il capo dell’Olp Yasser Arafat e il gruppo di terroristi che assaltarono la nave italiana Achille Lauro nel 1985, la decifrazione delle comunicazioni in codice tra l’Iran e il Pakistan in campo nucleare e la famosa intercettazione nelle acque del mar Rosso della “Karin A”, un piccolo mercantile carico di armi iraniane destinate ai palestinesi di Gaza. Ma soprattutto l’operazione che nel 2008, poco prima dell’attacco preventivo israeliano al reattore nucleare vicino a Damasco, mise fuori uso i radar siriani. Ma la 8200 non ha saputo prevedere il 7 ottobre.

 

È crollata la rete degli “aravim tovim”. In ebraico: gli arabi buoni. La rete di collaboratori palestinesi di Israele. Tutti i grandi capi di Hamas – Ahmed Yassin, Saleh Shehada, Abd al Aziz al Rantisi e Ahmed Jaabari – erano stati eliminati grazie a questi “traditori”. Israele ha un dipartimento apposito per loro: “humint”, gestione di risorse umane. Alcuni informatori odiano l’islamismo che ha brutalizzato i palestinesi, specie paragonato al tenore di vita dei palestinesi della Cisgiordania. Altri sono semplicemente prezzolati, oppure sono accusati di crimini “immorali” nell’islam, quali l’omosessualità o il consumo di droghe. Il 7 ottobre ha dimostrato che non erano così affidabili. “Da oltre un anno, prima del massiccio attacco di Hamas contro Israele, l’intelligence militare aveva informazioni dettagliate sul piano del gruppo di sfondare il confine di Gaza in dozzine di punti e attaccare le comunità e postazioni dell’esercito”, scrive su Haaretz Amos Harel, il miglior corrispondente militare israeliano. La maggior parte di queste informazioni sono state condivise con lo Shin Bet. Ma Israele non si era preparato alla minaccia e non sembrava credere che il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, intendesse attuare il piano. Anche il capo della divisione di ricerca dell’intelligence militare, generale Amit Saar, aveva avvisato di una “tempesta perfetta” che sfrutterebbe le turbolenze interne di Israele causate dalle manifestazioni contro la riforma del sistema giudiziario.

 
Con l’introduzione dell’alta tecnologia, la fiducia delle autorità nella loro capacità di fermare non solo gli attacchi dai tunnel ma anche le infiltrazioni in superficie è cresciuta. L’esercito ha diluito le forze della sua “Divisione Gaza”. Aveva ritirato le compagnie schierate in alcuni kibbutz. Mohammed Deif, capo militare di Hamas, si è reso conto che era giunto il momento di lanciare il più grande attacco a sorpresa. Anche un piano operativo per eliminare Sinwar era stato presentato a Netanyahu sei volte negli ultimi anni. Sinwar non trascorreva la maggior parte del suo tempo nascosto; aveva una presenza visibile e non si muoveva tra appartamenti segreti o bunker, a differenza del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Il piano per eliminare Sinwar è stato presentato a Netanyahu dai tre ultimi capi dello Shin Bet, ma Netanyahu aveva sempre rifiutato tutte le opportunità operative.Durante la guerra aerea del maggio 2021 con Gaza, Hamas aveva lanciato razzi su Gerusalemme nel tentativo di espandere i combattimenti. Migliaia di razzi lanciati da Gaza per oltre una settimana, mentre arabi ed ebrei si scontravano nelle città miste di Israele.

 
Ma Hamas non aveva attaccato il confine. I successivi scontri a Gaza, l’ultimo a maggio, avevano contrapposto Israele al Jihad islamico. I leader politici e militari si erano convinti che l’assenza di Hamas dai combattimenti dimostrasse che era stato scoraggiato, addirittura indebolito, preferendo investire nel benessere degli abitanti di Gaza.
“In questo modo Israele ha commesso un altro errore: ha aumentato il numero di permessi di ingresso per i lavoratori di Gaza in Israele” scrive Harel. Alla vigilia del 7 ottobre, il governo aveva promesso ai mediatori del Qatar di aumentare il numero dei permessi da 17 mila a 20 mila. La vecchia illusione “cash for peace”. Così è cresciuto il numero di palestinesi destinati a raccogliere informazioni sui kibbutz. Uomini di Hamas nelle carceri israeliane hanno riferito agli interrogatori dell’intelligence militare delle conferenze dei leader religiosi che sollecitavano l’inflizione del massimo dolore e sofferenza agli ebrei.Come raccontava il giornalista israeliano Anshel Pfeffer in “Bibi. The turbulent life and times of Benjamin Netanyahu”, Netanyahu vedeva “Israele dietro alte mura e che comunica con la sua anima gemella a seimila miglia di distanza”: gli Stati Uniti. Tom Segev, editorialista di Haaretz, scriveva: “Gli israeliani vogliono sapere quanto vale lo shekel (la moneta israeliana, ndr) e che non ci siano bombe sotto la loro auto”. Netanyahu era stato un maestro nel dare loro entrambe le cose. In economia, Netanyahu aveva inanellato un successo dietro l’altro, privatizzando una economia corporativa, arricchendo gli israeliani (quando Netanyahu ha sostituito Ehud Olmert il reddito pro capite era di 27 mila dollari, oggi è 37 mila), allacciando rapporti con i paesi arabi. Secondo uno studio citato nel libro di Pfeffer e realizzato da Nehemia Gershuni-Aylho, Netanyahu aveva avuto come premier il minor numero di vittime di guerra e di attacchi terroristici. Il 7 ottobre cambia tutto. Per sempre. 

 
Nel suo discorso di accettazione del Premio Israele, lo scrittore David Grossman si era lamentato che il suo paese è una fortezza, ma non ancora una casa. Per Netanyahu, era meglio una fortezza sicura di una casa che brucia. 
Il 7 ottobre è andato tutto in fumo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.