dalla nostra inviata

Il macigno delle scarcerazioni dei terroristi sul futuro di Israele

Sono stati i miliziani della Striscia a scegliere chi volevano fuori dal carcere e non hanno scelto soltanto donne e minorenni che appartenevano al loro gruppo. I rischi e il sistema carcerario

Micol Flammini

La tregua viene estesa per altri due giorni, Hamas dovrà rilasciare altri venti ostaggi e Gerusalemme altri prigionieri palestinesi dalle sue carceri. Le paure non guardano a Gaza, ma a queste scarcerazioni tra le bandiere dei terroristi e al pensiero che la storia israeliana, come tutte le storie, tende a ripetersi

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Un ragazzino sistema le sedie gialle, con due occhi attaccati sullo schienale, legate l’una all’altra, strette in solidarietà e prigionia. Le raddrizza, spazza via qualche foglia volata giù dagli alberi in uno dei primi giorni di fresco, che doveva pur arrivare in questa città che condivide memoria e movida, le mette l’una accanto all’altra in una segreta alchimia che non si trasforma in antitesi. Dopo aver raddrizzato ogni fila e ripulito ogni sedia, il ragazzino si sposta verso il lungo tavolo apparecchiato per sedie vuote, e fa lo stesso minuzioso lavoro: ruota i piatti, stira con le mani i tovaglioli, allinea i bicchieri avvolti da un nastro giallo. Rimane molto tempo a ordinare l’assenza in questa piazza di Tel Aviv che dal 7 ottobre tutti conoscono come Piazza degli ostaggi. Non sono soltanto i familiari di chi è stato rapito da Hamas a venire qui, sono tutti: passare per Piazza degli ostaggi vuol dire dimostrare che gli israeliani sono uniti e,  nel giorno in cui anche Elon Musk è in visita in Israele e si negozia la liberazione di altri civili nelle mani dei terroristi in cambio di altri due giorni di tregua,  sono convinti che questa sia l’unica scelta giusta da prendere. Ogni passo in questa piazza è un ricordo, ogni sospiro è un’attesa, tra le foto con i volti dei rapiti si inizia a scorgere qualcuno che è tornato a casa e si spera che magari il volto accanto sarà il prossimo. Le scelte giuste non sono libere da costi alti e i funzionari del governo stringono i denti  ogni giorno, non sorridono. L’annuncio di un’estensione della tregua è stato dato prima dal Qatar e dall’Egitto, poi da Hamas, poi dalla Casa Bianca, infine da Israele che per il ritorno di altri venti ostaggi,  oltre ad altri due  giorni di pausa umanitaria, dovrà rilasciare altri  palestinesi condannati per terrorismo. “Ho sentito usare spesso la parola ‘scambio’, ma non è giusto”, dice al Foglio l’avvocato Ilan Borreda, ex capo della divisione intelligence nel servizio carcerario israeliano. “Hamas ha rapito dei civili, li ha portati via, presi dal letto, picchiati. I palestinesi che si trovano nelle carceri israelianeinvece  sono stati condannati per terrorismo, dopo un processo”. Oggi da Gaza sono stati liberati nove bambini e due madri. “Cosa hanno in comune un bambino e un terrorista? – si domanda Borreda – Sono sempre contrario al rilascio dei terroristi, ma  sono convinto che dobbiamo fare il possibile per i nostri ostaggi”. L’avvocato è contrario perché nella storia israeliana, come in ogni storia, tutto si ripete e il 7 ottobre senza il rilascio di oltre mille terroristi palestinesi nel 2011 forse non sarebbe esistito: l’accordo per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit portò alla scarcerazione di quelli che sono diventati capi di Hamas, anche del regista dell’attacco contro i kibbutz, Yahya Sinwar, “era un leader pure in carcere, oggi  non si può non  ripensare a quelle scarcerazioni”. E’ un’angoscia di cui nessun israeliano si libera, e al momento non c’è una soluzione, nessuno sa dire come evitare che i terroristi rilasciati oggi diventino i Sinwar di domani. L’esercito e il governo non pensano che la pausa dai combattimenti possa annullare quello che è stato fatto per indebolire Hamas a Gaza:  il problema, adesso, è fuori dalla Striscia. Il rilascio dei prigionieri palestinesi aumenta la forza di Hamas in Cisgiordania; chi esce festeggia tra le bandiere verdi dell’organizzazione di terroristi, sa che deve la sua scarcerazione ai miliziani della Striscia.  Sono loro ad averli scelti.  


“L’accordo  prevede il rilascio dal carcere di donne e minorenni – spiega Borreda – e sono per la maggior parte di Gerusalemme est e Cisgiordania. Israele ha preparato una lista di trecento prigionieri, l’ha sottoposta al Qatar, che a sua volta l’ha mostrata a Hamas, sono stati i miliziani a decidere chi volevano fuori dal carcere. E non hanno scelto soltanto i loro”. I  rilasciati finora vengono dalle carceri di Damun e Meggido, in Israele le prigioni  per terroristi sono sette e al loro interno di solito i terroristi vengono sistemati per gruppi: “Non sono in celle isolate e per evitare problemi di sicurezza i membri di Hamas sono tra loro, quelli di Fatah tra loro e così gli appartenenti al Jihad islamico. Soprattutto i primi due gruppi non si sopportano e vanno separati”. 


Ogni sera,  Piazza degli ostaggi attende. Sobbalza per un attimo, composta, soltanto quando la notizia del rilascio dei cittadini israeliani è ufficiale. Ogni giorno qualcosa sembra andare storto, poi viene raddrizzato. Ogni giorno si teme per le condizioni di salute di chi viene liberato.  Sessantanove persone sono tornate finora a riempire le sedie rimaste vuote, ma attorno al tavolo nessuno ha ancora la forza di mettersi a sedere. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.