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Intervista

“Se Israele non vincerà la guerra, il mondo sarà in pericolo”. Parla l'ex vice premier Sharansky

Giulio Meotti

“L’antisemitismo che vediamo è una grande minaccia all’Europa. In occidente fra i progressisti anticolonialisti c’è questa malata approvazione per quanto è successo", dice Natan Sharansky, già ministro israeliano sotto Ariel Sharon e sopravvissuto al Gulag sovietico

Un metro e sessanta di eroismo, di storia e libertà ebraica europea e di difesa d’Israele. Questo è Natan Sharansky, che nel 1986 varcava da uomo libero a Berlino il “Ponte delle Spie” al termine di una prigionia di otto anni in un Gulag sovietico (Steven Spielberg ci girerà “Il ponte delle spie”).  Sharansky, il più famoso dei refusnik russi, gli “ebrei del silenzio”, già ministro d’Israele sotto Ariel Sharon, saggista e per dieci anni a capo dell’Agenzia ebraica, non avrebbe mai immaginato che in quella stessa Berlino avrebbero lanciato molotov contro le sinagoghe e scandito slogan di morte agli ebrei. “L’attacco del 7 ottobre è stata una esperienza terribile, ma tutta la nostra storia ne è costellata”, dice Sharansky al Foglio. “Un massacro e un pogrom allo stesso tempo. In particolare, i pogrom in Russia, che portarono milioni di ebrei a partire per l’America. Uno dei più grandi è il pogrom di Kishinev e come la Notte dei cristalli, quando furono uccisi duemila ebrei. E le sinagoghe distrutte. Ma la Notte dei cristalli era quando gli ebrei erano indifesi in Germania. Stavolta è successo in Israele, che è stato costruito per rispondere a tutta questa persecuzione, le nostre preghiere ‘il prossimo anno a Gerusalemme’, il luogo per difenderci. Hamas ha ucciso e stuprato e pubblicato tutto su Internet. Hanno bruciato le persone vive per terrorizzarci. Ci hanno imposto una guerra senza scelta, per restaurare la nostra patria. Israele fino a oggi era  diviso, ora siamo tutti uniti. 360 mila truppe si sono mobilitate in due giorni. C’è una grande determinazione nella lotta per la nostra esistenza”.


E il fatto che il 7 ottobre ricordi i pogrom, prosegue Sharansky al Foglio, fa sì che “la società israeliana ora è una sola famiglia. Non ricordo nella storia una determinazione come questa ora. Forse solo nel 1948”. 

 
Veniamo alle piazze, ai giornali e alle università occidentali. “In occidente fra i progressisti anticolonialisti c’è questa malata approvazione per quanto è successo. Dietro alla lotta contro Israele c’è l’antisemitismo: ‘non odiamo gli ebrei, amiamo gli ebrei, ma poi falliscono il test delle ‘3 D’: demonizzazione, doppio standard e delegittimazione. Nelle università parlano di ‘micro aggressioni’: questi studenti che volevano ‘spazi sicuri’ per tutti ora sono in piazza a dire ‘morte agli ebrei’. A me ricordano la vecchia teoria marxista leninista che, al tempo dei pogrom, diceva che i massacri di ebrei erano rivolti contro il capitalismo. I progressisti pensano che i palestinesi siano come i gay, i neri, etc. Oppressi fra gli oppressi. La ‘teoria critica’, così la chiamano. E così giustificano la negazione del diritto di Israele a esistere. In nome del grande futuro di giustizia giustificano i pogrom. ‘Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera’, cantano. Queste stragi così sono giustificate”. 

 

Qualche anno fa, Sharansky scrisse che eravamo al termine della storia ebraica europea. “Quando inizia con gli ebrei, non finisce mai con gli ebrei”, continua al Foglio. “L’antisemitismo che vediamo è una grande minaccia all’Europa. Noi ebrei abbiamo un posto dove andare: Israele. L’Europa invece dove andrà? Il fatto che ci siano tutte queste manifestazioni contro Israele da parte degli immigrati di seconda e terza generazione mostra il fallimento del progetto di integrazione dell’Europa. Le politiche dei leader europei non hanno compiuto sforzi per integrare queste persone dentro i valori europei. Che le chiamate ai pogrom siano diventate parte della vita europea è spaventoso. Anni fa incontrai Alain Finkielkraut e gli chiesi se pensasse che ci fosse un futuro per gli ebrei in Europa. Posso dire che io ero più preoccupato di lui”. 

 

Sharansky conclude con il pegno simbolico del 7 ottobre. “Ci sono due livelli: ideologico e pratico. Israele è il paese che in medio oriente incarna i valori occidentali, è parte del mondo libero, è il paese degli ebrei, uno stato nazione che va contro la ridicola canzone di John Lennon ‘un mondo senza nazioni, senza confini eccetera’. Ora sappiamo che è collassato: per difendere la tua libertà devi credere nella forza del tuo paese. Essere liberi e appartenere: questo è Israele. Se i terroristi riuscissero a indebolire, usando anche i naïf progressisti dell’occidente, sarebbe il più grande incoraggiamento al terrore. L’11 settembre, la Francia,  l’Isis. E ora se Hamas con la simpatia del mondo libero riuscirà nel suo progetto di sconfitta anche solo parziale di Israele, allora tutto il mondo vedrebbe l’emergere del terrore islamista. E l’Europa oggi è molto vulnerabile a questo odio”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.