l'editoriale del direttore

Il collante dell'estremismo islamista non è la difesa dei palestinesi ma è l'odio per Israele. Cercasi moderati

Claudio Cerasa

C’è una differenza sostanziale fra il tentativo di rimuovere l’Isis e quello di rimuovere Hamas: il mondo islamico. Oggi la grande e drammatica differenza con quella stagione è che i paesi musulmani che sono riusciti a condannare l’atto terroristico di Hamas sono praticamente inesistenti

Esiste davvero un islam politico moderato? Quando l’esercito israeliano metterà piede a Gaza per rendere inoffensivi i terroristi islamisti che una settimana fa hanno straziato Israele con il più grave sterminio di ebrei dall’Olocausto a oggi, risulterà chiaro a tutti che il paragone suggerito qualche giorno fa dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e fatto proprio dal premier israeliano, Bibi Netanyahu rischia di essere semplicemente riduttivo. Hamas, ha detto Biden, è come l’Isis. E rispetto ai metodi violenti utilizzati da quelli che il fronte unito del collateralismo terrorista definisce “i partigiani della Palestina” qualcosa di vero c’è: rastrellamenti nelle case, ostaggi civili, crimini di guerra perpetrati, infedeli uccisi per il semplice fatto di essere considerati come tali, video diffusi sulla rete con gli infedeli catturati e bandiere di Daesh lasciate nei kibbutz saccheggiati. Hamas, come ha detto al Foglio una settimana fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, punta a essere l’apripista del nuovo jihadismo e il tentativo di Israele di mettere in ginocchio i terroristi di Hamas al nord di Gaza ricorda per alcuni versi il tentativo fatto nel 2016 dalle forze anti Isis quando portarono avanti l’avanzata verso Mosul.

Per alcuni versi, appunto. Perché se si osserva con attenzione il quadro di fronte al quale si trova Israele, e tutto l’occidente libero che senza ignavia in questi giorni ha rivendicato il diritto di Israele a promuovere l’autodifesa, si capirà senza troppa fatica che c’è una differenza sostanziale fra il tentativo di rimuovere l’Isis e quello di rimuovere Hamas: il mondo islamico. Nel 2016, a guidare l’offensiva dell’occidente contro l’Isis vi erano, in prima fila, i curdi, insieme all’esercito iracheno, e dietro all’offensiva anti jihadista vi erano anche dei paesi arabi, che hanno offerto a vario titolo sostegno contro Daesh. Paesi come la Giordania, il Marocco, l’Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrein, gli Emirati Arabi e persino l’Iran (paese sciita) che ha schierato truppe da combattimento in Iraq contro Isis (fanatici islamisti  sunniti). Oggi la grande e drammatica differenza con quella stagione è che i paesi musulmani che sono riusciti a condannare l’atto terroristico di Hamas sono praticamente inesistenti. Il cosiddetto “islam moderato”, di fronte allo specchio chiamato Israele, mostra tutti i suoi limiti, tutte le sue contraddizioni, tutte le sue opacità, tutte le sue complicità con il terrorismo di Hamas e il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Gli unici  paesi a essere stati prudenti con Israele, in questi giorni, sono stati l’Arabia Saudita, che ha espresso preoccupazione per gli “eventi” e le perdite di civili senza specificare la loro nazionalità, ma rimarcando che i massacri in Israele sono riconducibili alla “perdurante occupazione e privazione dei diritti dei palestinesi” da parte delle “forze di occupazione israeliane”, gli Emirati Arabi, il Bahrein e il Marocco, i firmatari degli accordi di Abramo, che hanno scelto una chiave prudente, invitando entrambe le parti a una “de-escalation”. Per il resto il quadro è questo: Giordania e Qatar (dove si nascondono alcuni dei capi di Hamas) hanno attribuito a Israele la responsabilità dell’escalation. Tunisia e Libia hanno condannato solo gli attacchi israeliani su Gaza. Algeria e Kuwait hanno applaudito le tattiche violente e brutali di Hamas attraverso dichiarazioni del governo. La Turchia ha condannato le perdite di civili, rimarcando però la condanna per l’occupazione della moschea di al Aqsa da parte di Israele. L’Iran ha continuato ad alimentare la macchina del terrore di Hamas e di Hezbollah. E anche l’Egitto – il cui presidente al Sisi è arrivato al potere anche combattendo i Fratelli musulmani, a cui sono legati i terroristi di Hamas – ha scelto di tergiversare nell’aprire il valico di Rafah per far scappare i palestinesi da Gaza anche perché le autorità egiziane sono le prime a sapere quanto può essere pericolosa l’eventuale presenza di terroristi sul proprio territorio. In questo senso, la pericolosità di Hamas è persino superiore a quella dell’Isis perché dietro ai terroristi che usano Gaza – Gaza che venne lasciata nel 2005 da Israele ai palestinesi – come una portaerei per bombardare Israele vi è un’internazionale del fanatismo che mette insieme sfumature diverse di islamismo.

E le sfumature diverse di islamismo trovano un collante non sul terreno della difesa dei palestinesi ad avere uno stato ma nella difesa di Hamas ad affermare un altro diritto: distruggere Israele, negare il suo diritto di esistere, cancellare ciò che le Nazioni Unite hanno stabilito nel 1947, il diritto del popolo ebraico ad avere uno stato, anche a costo di andare nelle case degli ebrei uccidendo, come ai tempi dei rastrellamenti al Ghetto di Varsavia, gli ebrei perché colpevoli di essere ebrei. E il fatto che il cosiddetto islam moderato non trovi la forza, in nessuna parte del mondo, per individuare come nemici dei palestinesi i terroristi di Hamas, che usano i palestinesi come scudi umani, è lì a mostrarci con chiarezza l’altra grande partita di fronte alla quale si trova oggi l’occidente guidato dall’America di Joe Biden: fare di tutto per dimostrare che l’intervento di Israele a Gaza sia l’unico modo, anche per i paesi islamici, per evitare che Hamas possa essere l’apripista di una riscossa del nuovo jihadismo mondiale. Esiste davvero un islam moderato? La battaglia per la vita di Israele aiuterà a rispondere anche a questa domanda. E anche a capire chi, nel mondo islamico, è disposto a fare qualcosa per evitare che vi siano terroristi desiderosi di far rivivere agli ebrei un olocausto quotidiano.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.