negli stati uniti

I repubblicani americani scelgono Scalise per rimpiazzare McCarthy, ma rischiano di non farcela

Giulio Silvano

Il GoP ha scelto di proporre all'opposizione il nome più di destra ma meno trumpiano per sostituire lo speaker del Congresso. I dubbi dei deputati moderati alla prova del voto in Aula

Cacciato uno speaker non se ne fa un altro. Almeno non subito. Kevin McCarthy, eletto alla guida della camera dopo 15 votazioni a inizio gennaio (un primato), è stato mandato via il 3 ottobre dal voto di otto repubblicani trumpiani che pur di vendicarsi si sono uniti ai colleghi democratici (un altro primato). In due tra le fila del GoP si sono candidati per rimpiazzare lo speaker: i deputati Steve Scalise e Jim Jordan. Dopo i meeting fallimentari di lunedì, con la pressione aumentata a causa dell’attacco di Hamas in Israele, tutti i deputati si sono riuniti mercoledì mattina per votare a porte chiuse un nome unico da proporre all’opposizione. Per evitare una débâcle stile McCarthy alcuni hanno proposto di cambiar le regole e rendere sufficiente il 51 per cento dei voti per l’elezione (abbassando così la soglia da 217 a 111 deputati), ma la mozione non è passata. È passato invece nel partito il nome di Scalise, con 113 contro 99 voti.

Un nome moderato non sarebbe stato accettato. Matt Gaetz, il deputato che ha organizzato l’arrembaggio contro McCarthy, ha detto che sia Scalise che Jordan potevano andare bene, e così molti degli otto ribelli. Un candidato di destra è sembrato l’unico modo per evitare che l’ala alt-right creasse uno stallo, continuando a tenere bloccati i lavori della camera (e quindi anche l’approvazione del pacchetto di aiuti da inviare a Israele). Così si è scelto un trumpiano moderato. Sia Jordan che Scalise il 6 gennaio 2021 mentre la folla attaccava Washington si sono opposti ai risultati elettorali che davano Biden come vincitore, condividendo le menzogne cospirazioniste, ma tra i due Jordan è quello più intransigente e ancora un fanatico dell’ex presidente incriminato. Jordan, deputato dell’Ohio, è tra i fondatori del Freedom caucus, il gruppo che ha causato il problema di leadership che stiamo vivendo. A capo della commissione giustizia sta guidando le procedure di impeachment contro il presidente Joe Biden. Ha perso per pochi voti nella votazione a porte chiuse, ulteriore segnale della frattura interna, ma segno anche che Donald J Trump, che ha puntato su Jordan, dentro al partito non decide più del tutto i giochi. Uscito dopo il voto segreto Scalise ha detto che trovare qualcuno per la posizione di speaker è fondamentale “in un mondo sempre più pericoloso”, aggiungendo: “Dobbiamo mandare un messaggio… che la camera è attiva”.

Scalise è più vicino all’establishment di Jordan, anche perché stato il vice di McCarthy. Cinquantotto anni, cattolico, è nell’ala destra del partito, ma non a destra quanto Jordan. Nel 2017 gli hanno sparato durante un attentato in Virginia a una partita di baseball, ma nonostante questo resta un fiero difensore dell’uso delle armi da fuoco. Deputato della Louisiana, ha basato la sua campagna del 2008, con cui è entrato al congresso, sulla necessità di dare la voce al sud conservatore. È stato criticato duramente per aver parlato a un evento organizzato dall’ex capo del Ku Klux Klan David Duke (cosa di cui poi si è scusato e pentito dicendo: non sapevo fossero suprematisti bianchi). In passato ha attaccato “i democratici finanziati da Soros”, un refrain familiare. Nonostante questo, il gruppo dei filibustieri trumpiani potrebbe trovargli la colpa di essere troppo morbido con l’opposizione, infatti ha l’abitudine di inviare ai deputati di entrambi i partiti una torta quando passano la loro prima legge, un atteggiamento bipartisan inaccettabile per l’alt-right. A differenza di Jordan, poi, Scalise è meno restio ad accettare l’invio di armi e soldi a Kyiv. Un punto importante che potrebbe aver ammorbidito l’ala centrista. Nonostante ad agosto Scalise abbia raccontato di aver iniziato un trattamento per un mieloma multiplo, ha detto che si sente di poter guidare la camera. Alcuni lo attaccano anche su questo.

Usciti dal voto a porte chiuse di mercoledì alcuni erano pronti già per andare a votare in aula, portando Scalise come nome unico del partito. Ma visto quello che era successo con McCarthy e considerato che la maggioranza contro i dem è risicata (221 a 212), Scalise ha voluto vedere un po’ di colleghi per esser sicuro di avere il loro voto. E a quanto pare questi incontri non sono andati bene perché invece di guadagnare supporto l’avrebbe perso e forse non sarebbe in grado di ottenere il numero magico in aula (217). Alcuni deputati hanno chiaramente detto che voteranno per Jordan, come i MAGA scatenati Max Miller e Marjorie Taylor Greene. Per loro Scalise è troppo poco un outsider. Nancy Mace, deputata del South Carolina, ha detto invece che non lo voterà proprio per la sua partecipazione a eventi organizzati da suprematisti bianchi. Si è deciso così di posporre il voto in aula, e più passa il tempo più Scalise sembra allontanarsi dal martelletto. Anche perché altri dicono che voteranno il non-candidato McCarthy – che non sopporta Scalise – e che sarebbe anche la scelta preferibile dei dem. Capace di un camaleontismo professionale senza pari, l’ex speaker potrebbe essere l’uomo utile per far passare gli aiuti economici e militari per Gerusalemme, a cui Biden vorrebbe unire quelli per l’Ucraina. Il partito repubblicano si riconferma, come se ce ne fosse bisogno, un partito non diviso in due, ma in mille pezzi. L’effetto principale del post-trumpismo resta il caos.