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Dopo l'attacco di Hamas Israele ritrova l'unità

Micol Flammini

Netanyahu non può essere un alibi. L'opposizione di Lapid e Gantz, un tempo legata dalla volontà di non vedere mai più Bibi premier, adesso apre a un governo dei competenti per coordinare le risposte contro il gruppo terroristico

Poco dopo l’attacco dei terroristi di Hamas contro i cittadini israeliani, civili inermi nelle loro casa durante le prime ore del mattino, il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un editoriale in cui spiegava perché il maggiore responsabile del dolore che stava stravolgendo Israele era il primo ministro Benjamin Netanyahu. Non c’entrano nulla i discorsi, la propaganda, le alleanze controverse e camaleontiche del premier più longevo di Israele, per Haaretz il problema sta piuttosto nella decisione degli alleati di estrema destra e nell’acquiescenza di Netanyahu di fare dell’esercito una forza a protezione della Cisgiordania. E’ una discussione interna alla democrazia israeliana molto accesa che fa  rumore anche fuori dai confini dello stato ebraico e che qualcuno ha usato per dire che non si può stare dalla parte di questo Israele, di questo primo ministro, di questo governo. I giornalisti di Haaretz hanno portato fuori un problema importante, senza l’intenzione di voler negare il sostegno al proprio popolo, perché anche loro, come tutti gli israeliani, in questi giorni hanno amici, parenti, conoscenti in pericolo o scomparsi. La reazione della politica israeliana è stata invece di unità, i leader dell’opposizione non hanno cercato di dare la colpa a Benjamin Netanyahu, perché non è questo il momento delle colpe. Si sono invece uniti e riuniti dietro alla figura del premier. Non perché lo stimino, ma perché Israele ha bisogno di unità e di competenza. 

 

Israele ultimamente ha votato spesso, gli elettori sono stati chiamati a ripetere il voto, il Likud di Netanyahu si è riconfermato ogni volta il partito più votato, ma tutt’attorno si è formata una coalizione di partiti che da destra a sinistra erano uniti soltanto dalla volontà di mettere fine all’èra Bibi. Si somigliavano poco tra di loro, non avevano punti in comune nei loro programmi politici, se non il desiderio, chi per motivi politici chi per motivi personali, di evitare la formazione di un nuovo governo di Netanyahu. Molti dei leader che guidavano questo movimento avevano sperimentato anche delle coalizioni con il primo ministro e avevano giurato: mai più. Tra loro ci sono due figure importanti, Yair Lapid, leader del partito di centrosinistra, ex ministro degli Esteri ed ex premier, audace tessitore delle alleanze anti Bibi, e Benny Gantz, ex ministro della Difesa, leader di Unità nazionale, ed ex generale dell’esercito israeliano. Lapid e Gantz da quando Israele è in guerra dopo l’aggressione di Hamas hanno offerto il loro sostegno al premier, convinti che questo è il momento dell’unità. 

 

L’ex ministro della Difesa Gantz ha raccontato in televisione di aver detto al premier che sarebbe disposto a istituire un governo che si occupi di creare un gabinetto di guerra e che diriga le risposte contro Gaza. L’offerta era arrivata dallo stesso Netanyahu che aveva chiesto a lui e a Lapid di svolgere un ruolo di primo piano. Gantz è stato chiaro: “I nostri figli e le nostre figlie si stanno arruolando, quando piangiamo centinaia di morti, quando preghiamo per i feriti, i dispersi e i rapiti, dobbiamo prenderci delle responsabilità come leader. Se ci verrà data la reale opportunità di partecipare alla gestione della guerra saremo lì fino alla fine”. Netanyahu ha detto che un nuovo governo sarebbe sulla base di quello che si formò tra Levi Eshkol e l’opposizione di Menachem Begin prima della guerra dei Sei giorni nel 1967, Lapid e Gantz hanno però posto una condizione: che Bibi si liberi dei partiti di estrema destra, che sia un nuovo governo. Se non avverrà, se Bibi non rinuncerà ai partiti a cui si sta appoggiando per avere la maggioranza e che finora lo hanno spinto a rinnegare le sue stesse politiche, comunque, hanno assicurato, ci sarà la piena collaborazione, perché non è il momento delle divisioni. Per il momento non ci sono state reazioni neppure sulle rivelazioni dell’intelligence egiziana che ieri ha detto di aver informato Netanyahu che qualcosa stava avvenendo, ma di aver ottenuto in cambio freddezza e distrazione.  E’ il ritorno dei competenti, di uomini che come Netanyahu reggono lo stato ebraico da anni, che hanno affrontato diverse crisi e le hanno superate. Quello che chiedono Lapid e Gantz al premier è di liberarsi degli incompetenti. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.