Gli schermi del “Centre de conduite des opérations”, cuore di Ilios, dove è rappresentata la mappatura generale delle situazioni globali (foto Massimo Morello)

Dentro l'operazione Ilios (non solo) in Niger

Massimo Morello

App e pulsanti rossi. Il direttore della società francese, Thibault Janin, ci racconta l’ultima esfiltrazione dal paese africano dopo il colpo di stato di fine luglio

Il voyageur, il viaggiatore, è un archetipo della cultura francese. Una condizione umana. Letteraria, artistica, professionale. Per Thibault Janin è un uomo che ha bisogno di protezione. Lo sa perché era un voyageur. Un esperto di commercio internazionale sempre in giro per il mondo. Spesso in quegli stati dove, dopo la decolonizzazione, la Francia ha stabilito quel sistema politico e finanziario, non ufficiale e piuttosto ambiguo, denominato Françafrique, che ha innescato dittature e colpi di stato. Come è accaduto in Niger, a fine luglio, quando un colpo di stato ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum provocando violente manifestazioni contro la presenza francese nel paese. Ed è là che un gruppo di voyageur sono stati “protetti” dalla società di assistenza e sicurezza all’estero e gestione del rischio di cui Thibault Janin è direttore generale, la Ilios International. Sono stati gli uomini della Ilios, in Niger e in Francia, che hanno permesso la loro “esfiltrazione”, l’uscita dal paese.

La società, fondata nel 2011, sintetizza le esperienze di Thibault e di suo padre, Francis Janin, ex colonnello dell’esercito francese con lunghe missioni all’estero, poi direttore della sicurezza di una multinazionale. Oggi impiega una trentina di collaboratori fissi che seguono circa 1.200 voyageur e 200 corrispondenti (spesso ex militari o poliziotti) che li assistono in 54 paesi, soprattutto in Sudamerica, Africa e Medio Oriente. “In certi paesi si è accompagnati in permanenza ed è sempre il personale locale ad assicurare la sicurezza armata sul posto. A parte alcuni paesi, come Haiti, dove opera personale occidentale. In altri casi ancora c’è la possibilità di esfiltrazione con alcuni ex militari francesi”.

L’operazione in Niger è l’ultima di altre crisi gestite dalla Ilios in Ciad, Angola, Mali, Burkina Faso, Gabon. Forse è stata la più eclatante. Oppure, semplicemente, quella che ha avuto maggiore copertura mediatica. “Abbiamo dovuto agire in fretta. Dovevamo mettere in sicurezza ed evacuare una dozzina di persone, francesi ed europei che lavoravano per società d’ingegneria. Ma all’inizio l’aeroporto di Niamey era chiuso, non c’era la possibilità di uscire dal paese via aereo” racconta Thibault. “Quindi abbiamo studiato altri modi e altri percorsi, soprattutto attraverso il Benin. Nel frattempo, abbiamo messo in sicurezza le abitazioni e stabilito un contatto continuo. Alla fine, l’aeroporto è stato riaperto e abbiamo dovuto solo assicurare il trasporto locale. Un po’ più complicato il caso di un cliente che si trovava ad Agadez. Lo spostamento via terra era impossibile e abbiamo dovuto utilizzare una linea aerea del World Food Program per raggiungere Niamey; quindi, l’abbiamo accompagnato a un luogo sicuro dove è stato preso in consegna dallo stato francese”. 

Tutto farebbe pensare, almeno nell’immaginario giornalistico, che la Ilios sia una società che opera nel mondo delle Special Ops, un mix tra quelle di contractor come la Blackwater (oggi ridenominata Academi) e quelle di servizi d’intelligence come Stratfor. Senza contare che il termine stesso “esfiltrazione”, tanto ricorrente nella sede della Ilios, richiama immediatamente il film “Argo” che racconta l’operazione della Cia per far uscire dall’Iran gli ostaggi americani chiusi nell’ambasciata di Teheran.

Francis Janin sorride a tutte queste evocazioni anche se l’idea di un’affinità con Erik Prince, ex ufficiale dei Navy Seals, fondatore della Blackwater, poi dirigente di una multinazionale della sicurezza, deve essergli passata per la testa. Ed è curioso che, per fare un esempio di come studino la situazione dei paesi, abbia citato il Gabon. “Il rischio di disordini è aumentato” ha avvertito Francis pochi giorni prima del colpo di stato.

A parte alcune reticenze, parecchi eufemismi e qualche giro di parole, soprattutto quando si tratta di definire le attività sul campo da parte dei collaboratori esterni, la Ilios non corrisponde agli stereotipi narrativi di una società che può essere chiamata a gestire problemi di esfiltrazione da un paese in guerra (ma non solo) o di “kidnapping express”, quei rapimenti finalizzati a ottenere un riscatto relativamente modesto ma in tempi rapidissimo.

“Noi siamo una società operativa, ma innanzitutto una società di servizi, uniamo l’intervento sul terreno alla digitalizzazione. Il nostro ruolo è di anticipare scenari e soluzioni prima e durante il viaggio. Ilios ha sviluppato una tecnologia che permette di allertare i viaggiatori in tempo reale se si avvicinano a una zona sensibile che potrebbe mettere a rischio la loro sicurezza. Con lo stesso sistema possiamo indirizzare o far trasferire il viaggiatore in zone protette che lascino il tempo alle nostre squadre di organizzare un’esfiltrazione” dice Thibault mentre indica gli schermi che formano una parete del “centre de conduite des opérations”, il Cco, cuore di Ilios, dove è rappresentata la mappatura generale delle situazioni globali. Sui computer di fronte agli operatori (in maggioranza ex militari), invece, vengono monitorate situazioni particolari. “Il nostro Cco è concepito come le sale di gestione delle crisi del ministero della Difesa, si basa su un sistema informatico che ci permette di anticipare i rischi. Ma è anche un sistema che permette al viaggiatore di richiedere un intervento immediato quando si senta in pericolo. Gli basterà premere un pulsante d’emergenza sulla Ilios App per mettesi in contatto con il centro d’assistenza. A quel punto possiamo inviare una squadra locale là dove si trova chi ha richiesto assistenza. Nei casi più urgenti l’operatore del nostro centro può guidarlo da remoto sino a un rifugio sicuro in attesa che arrivino i soccorsi. Che in molti casi, soprattutto nelle città africane super ingorgate, si spostano in moto per garantire la massima velocità”.
La descrizione degli interventi in questo caso ricorda davvero le scene di un film d’azione. Ma le richieste d’aiuto, che vengono raccontate “off the record”, sono molto più numerose e bizzarre di quanto si possa immaginare. A volte banali, imbarazzanti, molto spesso frutto di arroganza, imprudenza, di un diffuso atteggiamento neocoloniale. In tutti questi casi la Ilios ricorda un po’ il Signor Wolf di “Pulp Fiction”, quello chiamato a risolvere problemi. Proprio per questo, però, Francis vuole precisare che l’assistenza è assicurata nel quadro di un comportamento normale. “E’ quello che si chiama “il limite dell’assistenza”. Se una persona vìola le leggi del paese in cui si trova, è ubriaca o drogata i nostri limiti sono raggiunti”. Il rapporto con l’assistito, quindi, a volte diventa ambiguo. “I viaggiatori non sono contrari a essere geolocalizzati, purché ciò non accada in permanenza”.

Tutto ciò è significativo di una società che diventa sempre più a rischio anche perché chi ci vive è sempre meno preparato ad affrontare qualunque rischio. “Abbiamo clienti anche in paesi assolutamente stabili. E ci sono viaggiatori che vanno nel panico perché di fronte al minimo problema non sanno cosa fare, non conoscono la lingua del paese, si sentono soli, sono fuori dalla loro comfort zone” dice Thibault.

“Il livello di paura è aumentato. Situazioni che a noi, per educazione o esperienza di vita, possono sembrare normali o risolvibili, a molti giovani viaggiatori appaiono assolutamente incontrollabili. Del resto, la percezione del rischio è anche un fatto culturale” precisa Francis.

Se la percezione è un fatto culturale – secondo Francis i paesi latini tendono a essere meno “prudenti” degli scandinavi mentre gli americani lo sono troppo – è la conoscenza delle altre culture che permette di prevenire i rischi. “L’80 per cento dei problemi potete evitarli se sapete come comportarvi, la maniera di interagire. Quello che è proibito, quello che non si può fare secondo le regole locali. Se si evita quell’atteggiamento neocoloniale che giustamente risulta insopportabile”. A questo scopo la Ilios propone degli incontri di formazione per le imprese che vogliono aprire una sede in qualche parte del mondo e prepara dei dossier con tutte le informazioni necessarie.

“Con la globalizzazione e lo sviluppo degli scambi internazionali sempre più spesso le società devono inviare sul posto dei loro collaboratori. Ma a parte i colossi come la Total o la compagnia di navigazione Cma Cgm, le imprese, anche le grandi, non sono in grado di gestire la sicurezza in tutto il mondo. Gli stessi stati nazionali non sono in condizione di farlo” spiega Thibault. Un vuoto che la Ilios cerca di colmare. I suoi clienti non sono privati ma piccole e medie imprese e società di assicurazioni. “Le assicurazioni ci assumono perché preferiscono pagare prima noi che dover pagare forti indennizzi in caso di incidenti. In altri casi, specie nei paesi africani, molte assicurazioni rifiutano la copertura ai loro clienti senza la conferma di un sistema di protezione”. La Ilios, inoltre, affianca le tradizionali assicurazioni mediche, sia per consulti on line sia, soprattutto, per organizzare il rimpatrio. Alle assicurazioni si ispira anche il modello economico della Ilios: i clienti non pagano il costo dell’intervento bensì un forfait, per viaggio o a tempo. E in molti casi il costo dell’abbonamento è sorprendentemente basso: qualche decina di euro.

Da questo punto di vista la Ilios perde parecchio del suo fascino: le assicurazioni non evocano l’avventura. “Siamo noi l’avventura” ribatte Francis. “Questa è un’avventura umana e familiare. La Ilios è una start-up e oltre me e Thibault ci lavorano altri due miei figli, Francois, che si occupa della parte informatica, e Cyrielle, di quella finanziaria. E’ una bella sfida la nostra: abbiamo iniziato il reclutamento di una dozzina di persone e lanciato una nuova sottoscrizione da un milione di euro per ampliare il nostro campo d’azione”. Nel futuro potrebbero anche aprirsi al mercato dei privati. “Ma giornalisti no, meglio di no. Loro i guai se li cercano”.

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