Zelensky con membri della brigata Azov rilasciati dai russi nel luglio scorso (Ansa) 

La testimonianza

La guerra, la prigionia russa e il ritorno. Il racconto di un medico della brigata Azov

Francesco Chiamulera

Il dottor Asan Isenajiev, tataro di Crimea, difensore di Mariupol, tra i 140 ucraini fatti prigionieri dopo l’assedio alla Azovstal e rilasciati in uno scambio il 31 dicembre 2022, ripercorre quei drammatici giorni.  E dalle sue parole emerge lo straordinario multiculturalismo dell’Ucraina

"Posso farle una citazione da Churchill?” L’Ucraina nel 2023 non è solo quel posto fantastico dove il presidente è ebreo, il neoministro della Difesa Rustem Umerov è un musulmano e tataro di Crimea, il segretario del partito di governo Davyd Arakhamia è un georgiano e rifugiato dell’Abkhazia, roba che potrebbe sembrare una barzelletta sugli stereotipi nazionali e invece è un sorprendente modello di assimilazione democratica, peraltro nel mezzo di una guerra di aggressione. E’ anche quel posto dove a Kyiv oggi, in una mattinata di settembre, presso il Veteran Hub, che sorge nel centro della capitale, puoi incontrare Asan Isenajiev, medico della brigata Azov, tataro di Crimea, difensore di Mariupol, tra i 140 ucraini fatti prigionieri dai russi dopo l’assedio alla Azovstal e rilasciati in uno scambio il 31 dicembre 2022.

Incontrare Asan per fargli quella solita domanda che agita i benpensanti: cosa ne pensa di chi dice che la Azov è una brigata di nazisti? e ricevere in cambio una lezione di politologia e di storia. “Sa cosa diceva Churchill? Che peggio del nazismo tedesco c’è solo l’antinazismo russo (la citazione è probabilmente apocrifa, ma l'ostilità antisovietica di Churchill è ben rappresentata da molti altri suoi aforismi, ndr). Ecco, i russi hanno creato questo mito, questa leggenda del nazismo ucraino, come collante ideologico del loro odio. Uno strumento per manipolare l’opinione pubblica, per trovare un nemico comune da combattere. E quale capro espiatorio, quale simbolo estremo di questo fantomatico nazismo, c’è il reggimento Azov. Bene, in quanto musulmano di Crimea posso confermare che nella Azov sono stato accolto molto bene, altro che nazisti. Di più, non ho conosciuto né estremisti di destra né fascisti. E nemmeno estremisti di sinistra, se è per questo”. 

 

Incontrare Asan Isenajiev, tataro di Girey, che da medico si è trovato addosso il fardello terribile e smisurato di un intero reggimento – “c’erano da assistere 600 feriti in contemporanea, che urlavano, chiedevano aiuto, e non li potevi aiutare con niente, perché non avevi le medicine che servivano, ho dovuto svestire i morti per vestire i feriti, usare i frammenti delle divise di chi era stato ammazzato come bende improvvisate, per chiudere alla svelta le ferite…” – per conoscere una storia di eroismo raccontata con molta dignità e compostezza, vagliando le parole, mentre scava in ricordi estremi. “La Azovstal è un posto dove non c’era acqua potabile, dove non c’erano medicine, non c’era cibo, non c’era aria fresca, dove ogni trenta minuti colpivano la struttura con praticamente qualsiasi arma – artiglieria, bombe a grappolo, cecchini posizionati ovunque. Non ricordo nemmeno dieci minuti continuativi di silenzio”. 

 

E’ finito a Olenivka, Asan, quando c’è stato l’ordine di ripiegare, di lasciare l’acciaieria per evitare un massacro ancora più grande. In quel campo di prigionia dove il 27 luglio i russi hanno fatto esplodere una baracca. Dove c’era anche lui. Scampato all’esplosione, accanto aveva persone ferite gravemente. E qui la testimonianza di Asan coincide con quella di molti altri medici soldati suoi connazionali che hanno conosciuto, al fronte, la differenza tra il rispetto per la vita umana degli ucraini, anche quando curano i propri nemici, e l’indifferenza prevalente nelle file dell’esercito russo. “Me li ricordo, i nostri carcerieri, che continuavano a prendere il caffè e a fumarsi una sigaretta anche di fronte ai feriti che avevano bisogno di aiuto. Nessuno voleva soccorrerli”. Poi i prigionieri, o meglio quelli sopravvissuti all’esplosione, vengono portati a Taganrog. “Ma di quella esperienza, la prigionia a Taganrog, non voglio raccontare nulla. Una cosa dico, è stata molto pesante, terribilmente pesante”. Qui Asan si ferma. E fa capire chiaramente che Taganrog è stato, rispetto alla Azovstal, un incubo ancora peggiore. 

 

Dopo 98 giorni di prigionia, Isenajiev è tornato libero a Capodanno. La sua famiglia è in Crimea, i genitori sono nei territori occupati illegalmente dalla Russia dal 2014, “non ho notizia di loro. Tranne che i russi si presentano spesso in casa della mia famiglia, per interrogare, fare sopralluoghi. Essere crudeli è nella loro natura”. Una cosa comune, nella Kyiv del 2023, è che la password del wi-fi del ristorante crimeano del quartiere sia “crim nash”, ovvero, “la Crimea è nostra”. In questo paese che reagisce all’invasione e ai tentativi plurisecolari di annientamento con la forza delle minoranze che ne compongono il mosaico etnico, ci si chiede anche che cosa fare “quando libereremo la Crimea dall’occupazione”: visto che il ritorno in Crimea, come sottolinea anche la scelta di un crimeano quale nuovo ministro della Difesa, non è nemmeno messo in discussione (dirlo ai giornali italiani che titolavano su Zelensky pronto a cedere la penisola). 

A pochi isolati di distanza dal Veteran Hub, proprio di fronte alla Verchovna Rada, il parlamento ucraino, c’è la rappresentanza permanente del governo legittimo della repubblica autonoma di Crimea, che di fatto è in esilio a Kyiv dal 2014. Ecco, cosa fare un domani con gli almeno 500 mila, forse 800 mila russi insediatisi nella regione dal 2014? “E’ presto per dirlo, ma non è che non ci siamo posti il problema”, dice Maria Tomak, capo dipartimento della Crimea Platform del governo ucraino. “E’ chiaro che siamo in dialogo costante con i partner occidentali su come l’Ucraina intenda reintegrare la Crimea in Ucraina, sia a livello di governance sia per le più spinose questioni che riguardano le proprietà che appartenevano agli ucraini prima del 2014: quando rientrerà in controllo della Crimea, l’Ucraina non ha intenzione di violare il diritto internazionale. Non pianifichiamo deportazioni di massa. Le prime a lasciare la regione, ovviamente, saranno le famiglie delle autorità occupanti, a partire dai funzionari dell’Fsb. Quanto a tutti gli altri, sarà adottato un approccio caso per caso. Ma una cosa è certa: non ci comporteremo come loro”. Cioè come i russi.

 

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