Foto Epa, via Ansa

cosa succede a sinistra in Germania

Sahra Wagenknecht, la rossa che piace ai bruni

Daniel Mosseri

La vicepresidente del Comitato nazionale della Linke crede che il partito sbagli a rincorrere i Verdi, ha un programma alternativo che non dispiace all’AfD e adesso ha un dubbio: prendersi il partito dell’estrema sinistra tedesca o fondarne uno tutto suo?

Alcuni lasciano il partito in segno di solidarietà all’ex leader semi ostracizzata. Altri, invece, si augurano che sia lei per prima a prendere la porta. La Linke, il partito socialcomunista tedesco – nipote politico del Partito Socialista Unificato di Germania (Sed) che guidò per decenni la Ddr – è in crisi profonda; e questa crisi ha un nome e un cognome: Sahra Wagenknecht. Alta, algida, i capelli lunghi e scuri sempre raccolti e la schiena dritta, Wagenknecht non è un esponente qualunque della sinistra estrema tedesca: la Sahra socialcomunista incarna la Linke degli ultimi dieci anni così come Gregor Gysi era stato il massimo rappresentanze del partito fino al primo decennio degli anni duemila. Ma se Gysi era un figlio d’arte – suo padre Klaus era stato prima ministro della Cultura e poi sottosegretario agli Affari religiosi nei governi della Ddr – Wagenknecht si è fatta da sola.

Padre iraniano e madre tedesca, Sahra nasce a Jena nel 1969. Qua cresce solo con sua madre: del padre si perderanno le tracce durante un suo viaggio in Persia. Sahra studia prima Filosofia a Berlino est mentre lavora da segretaria poi ottiene un dottorato in Economia. Ma nei mesi in cui Angela Merkel aiuta l’ultimo premier della Ddr, Lothar de Maizière, a liquidare il regime socialista, la ventenne Wagenknecht è già iscritta alla Sed. L’impegno politico, dunque, prima ancora degli studi. Nel 1991 è già membro del Partito del socialismo democratico (Pds) nel quale si è intanto sciolta la Sed nel 1990: i cambi di sigla si fermano nel 2007 quando il Pds si unisce con un altro movimento di sinistra per dare vita alla Linke.

Oggi però la nascita di una nuova formazione è più vicina ed è proprio Wagenknecht la forza creatrice. Il parto è previsto entro l’anno e secondo tutti gli osservatori il bebè verrà al mondo nel modo più tradizionale per la sinistra: per scissione. Sono anni che Sahra è scontenta della direzione presa dalla Linke. Già fortissimo nei Länder orientali, il partito continua a perdere consensi mentre rincorre, senza successo, i Verdi sui temi dell’ambiente e del multiculturalismo. Per Wagenknecht invece l’integrazione non è un pranzo di gala: all’indomani del Capodanno del 2016 quando centinaia di donne subirono abusi a carattere sessuale da parte di un branco di giovani nordafricani in preda ai fumi dell’alcol in piazza a Colonia, Wagenknecht, allora capo ufficiale dell’opposizione, scosse la sinistra dichiarando: “Chi abusa del diritto all’ospitalità, perde il diritto all’ospitalità”. Solo AfD si complimentò con la leader della Linke, che da allora non ha mai smesso di prendere le distanze dal modello migratorio della società tedesca. Se si aprono le porte bisogna assicurarsi che ci sia lavoro e alloggio per chi arriva, ha sempre sostenuto la leader socialcomunista convolata a seconde nozze nel 2011 con Oskar Lafontaine, cavallo di razza della sinistra tedesca, già ministro federale alle Finanze (1998-99), “migrato” dalla Spd di cui è stato presidente al Pds e poi alla Linke. In un paio di discorsi pubblici Lafontaine, che ha 26 anni più della consorte, si lasciò sfuggire accenti poco amichevoli nei confronti dei migranti: la linea della coppia è quella.

Secondo Wagenknecht i lavoratori stranieri e i profughi deprimono i salari accettando lavori sottopagati. Peggio ancora, cercano casa nei quartieri più popolari spingendo in alto i prezzi degli affitti, indebolendo così una seconda volta proprio gli strati più deboli della popolazione. Il razzismo non c’entra: come spiegò in un’intervista del 2016, “questo è il risultato di una politica che ha deregolamentato il mercato del lavoro e in gran parte dismesso l’edilizia sociale”. E l’attentato al mercatino di Natale nel cuore di Berlino nel 2016? Colpa del governo, anzi proprio di Angela Merkel, perché da un lato sostiene gli Stati Uniti  e le guerre in Iraq, Afghanistan e Siria che scatenano l’islam radicale mentre dall’altro toglie fondi alla polizia e apre le frontiere a chiunque, terroristi inclusi. Dichiarazioni che guadagnarono a Wagenknecht nuovi applausi a scena aperta dai dirigenti di AfD, partito che nel frattempo abbandonava l’euroscetticismo iniziale per farsi ogni anno più apertamente nazionalista e xenofobo. Ma non lamentatevene con me, spiega Sahra, perché è proprio la politica di Merkel a favorire la crescita del partito sovranista.

Nel corso degli anni Wagenknecht ha mantenuto ben ferma la barra sulla scivolosa combinazione fra conservatorismo e socialismo, fra frontiere ben controllate, femminismo, e proposte per socializzare l’economia di mercato. La Linke, tuttavia, non l’ha seguita: di recente, per esempio. il partito socialcomunista ha scelto Carola Rackete come capolista alle europee del 2024. Rackete non va più per mari a raccogliere migranti economici ma è diventata attivista della protezione ambientale, un altro tema che a Wagenknecht non sta particolarmente a cuore. A dare corpo politico al cambiamento climatico e alla corsa alle energie rinnovabili in Germania ci sono già i Grünen. Un partito, argomenta ancora l’ex leader della Linke, che le sta sbagliando tutte. In un’intervista dello scorso luglio alla Südwest Presse ha fatto a pezzi il progetto di legge voluto dal vicecancelliere verde Robert Habeck per sostenere (imporre, secondo i critici) la diffusione delle pompe di calore per scaldare le case dei tedeschi. “E’ sbagliato sotto il profilo tecnico, socialmente sconsiderato, inutile dal punto di vista climatico”. Perché imporre questi strumenti costosi quando nessuno se li può permettere? E da dove verrà l’elettricità per alimentare le pompe di calore in inverno – cioè quando la produzione di energia solare ed eolica di fatto si ferma? Si dovrà ricorrere di nuovo al gas, ha spiegato Wagenknecht. Da lì a criticare la politica antirussa del governo tedesco (e soprattutto dei Grünen) è tutt’uno. Wagenknecht la socialista non vuole soldi sprecati nelle pompe di calore ma chiede più investimenti nel teleriscaldamento, nelle ferrovie e nella formazione. Perché, si chiede, aprire le frontiere a migranti qualificati secondo il modello “a punti” canadese quando in Germania ci sono 2,6 milioni di giovani privi della formazione richiesta dal mercato e perciò sottoccupati? E che dire dei 300 mila infermieri, categoria ambitissima in occidente, che hanno lasciato la professione perché sottopagati?

La dottrina sociale di Sahra si adatta ai tempi: nel 2021 non ha dimenticato di esprimere le proprie riserve sui vaccini mRna contro il coronavirus, strizzando così l’occhio ai Querdenker: fino all’uscita della leader socialcomunista alle orecchie dei “pensatori trasversali” tedeschi – un coacervo di estremisti di destra e di sinistra, 70enni post-hippy, giovani complottisti anti Big Pharma, steineriani esoterici e fondamentalisti dell’omeopatia –  giungeva esclusivamente il canto delle sirene sovraniste.

Oggi Wagenknecht è in prima linea contro gli aiuti militari all’Ucraina “utili solo a prolungare il conflitto” che lei chiama anche “una guerra (americana) per procura”. La Russia, certo, “ha scatenato una guerra contraria al diritto internazionale” ma è la Nato la causa di tutti i mali. Poi argomenta: “Pensate a Serbia, Iraq, Libia, Afghanistan. Tre di questi paesi erano alleati della Russia e sono stati attaccati per bombardare regimi sgraditi” all’occidente. La soluzione al conflitto russo in Ucraina può essere solo negoziale: e il nodo del Donbas va risolto come fu fatto nel Dopoguerra per la Saarland, una piccola regione al confine fra Francia e Germania (e incidentalmente governata negli anni ‘80 dal signor Oskar Lafontaine): “Chiedere alle persone a quale paese vogliono appartenere”. Roba da far impallidire il programma di AfD. Wagenknecht ne è consapevole e sempre rivolta alla Südwest Presse conclude: “Molti ora percepiscono l’AfD come l’unica opposizione. Sarebbe auspicabile che non fosse più così”. Ma poiché tanta sinistra rifiuta i toni conservatori di parte della dottrina Wagenknecht, dalla Linke è cominciata una fuga alla spicciolata di dirigenti anche di primo piano fedeli alla 54enne leader dissidente. A marzo 2022 ha lasciato il partito Oskar Lafontaine, che era stato uno dei fondatori. “Tempo addietro lasciai la Spd perché era diventato un partito che promuoveva salari bassi, tagliava le pensioni e i benefici sociali, e sosteneva la partecipazione della Bundeswehr alle guerre contrarie al diritto internazionale. Volevo che ci fosse un’alternativa di sinistra alla politica dell’insicurezza sociale e della disuguaglianza nello spettro politico, motivo per cui ho cofondato la Linke. Ma la Linke di oggi ha abbandonato questi obiettivi”. Giorni fa a lasciare, o meglio a escludere una partecipazione futura alla vita del partito sono stati prima la cocapogruppo parlamentare Amira Mohamed Ali e poi il cocapogruppo Dietmar Bartsch, già compagno di lotte di Wagenknecht. Ai due non è andato giù l’ultimatum dato lo scorso 10 giugno dal partito alla sua ex leader intimandole di smettere di parlare di un nuovo partito o di fare fagotto una volta per tutte. Cacciare Sahra non è però semplice: il suo programma che assomiglia così tanto a quello di AfD, depurato però dai toni apertamente sovranisti, xenofobi, islamofobi e antieuropei, ha il potenziale di attirare tanti elettori passati fra le file della destra estrema solo perché privi di un’alternativa. I sondaggisti sono concordi nell’affermare che un partito-Wagenknecht potrebbe mutare completamente lo scenario consolidato ormai da mesi secondo cui AfD raccoglierebbe il 30 per cento  nei Länder orientali e oltre il 20 per cento su scala nazionale, diventando il secondo partito in Germania dopo il duo moderato Cdu-Csu. La Linke vuole Sahra fuori dai piedi ma sa che senza di lei rischia il tracollo; AfD al contrario la corteggia nel timore che la sua concorrenza metta a repentaglio il bottino elettorale pregustato da mesi. Per adesso Wagenknecht si limita a dirà che deciderà “entro l’anno”, aspettando forse di vedere l’esito delle elezioni a ottobre in Assia e in Baviera. Lo scorso 15 agosto a spezzare una lancia a favore del Sahra-Partei è stato il Tageszeitung (Taz), quotidiano berlinese di ispirazione rosso-verde con un titolo chiarissimo: “E fatelo, questo partito!”. La premessa è semplice: spaccata in due fra i riformisti alla Bodo Ramelow (il governatore della Turingia e primo esponente socialcomunista a guidare un Land) e i massimalisti alla Wagenknecht, della Linke non c’è più nulla da salvare. E poi, aggiunge la Taz, Sahra ha ragione: con Rackete capolista la Linke si distingue a malapena dai Verdi “e così non si vincono le elezioni, tantomeno all’est”. Ma, soprattutto, l’algida pasionaria in uscita dalla Linke è l’unica in grado di battere AfD. Certo, un partito-Wagenknecht avrebbe sì una politica migratoria restrittiva, depurata però dall’armamentario etnico-nazionalista dei sovranisti che vanno a braccetto con i neonazi. Almeno, conclude la Taz, la politica sociale di Sahra è rivolta a tutte le famiglie che sono in Germania, “anche quelle con nomi turchi o arabi”.

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