le parole del presidente

Putin parla di Prigozhin, del talento e degli errori

Micol Flammini

La morte del capo della Wagner, l’allontanamento del generale Surovikin. Il regime russo risponde alla rabbia e ai tradimenti, e di fronte alla punizione e al desiderio di mantenere il controllo, anche la guerra in Ucraina finisce in secondo piano

Vladimir Putin ha mandato le condoglianze alla famiglia di Prigozhin, la moglie Ljubov è in India, e secondo alcune testate indipendenti russe, non ha in programma di tornare in Russia. Il presidente russo ha definito il capo della Wagner un ottimo uomo d’affari, ha promesso che le indagini sulla sua morte verranno portate a termine, e poi – queste sono state le parole più emozionali in due minuti di dichiarazione con lo sguardo basso – ha raccontato di conoscere Prigozhin da molto tempo, dagli anni Novanta, e ha lodato il suo talento negli affari in Russia e all’estero, e ricordato gli errori. Non ha detto quali, non è sceso nel dettaglio, né dell’amicizia né degli errori, ma le parole di Putin sono state le prime istituzionali sulla morte di Prigozhin: per lo stato russo, il capo della Wagner è morto.

Per l’intelligence americana, a far precipitare l’aereo con cui volava il traditore-uomo-d’affari-Prigozhin non sarebbe stato un missile, con più probabilità un’esplosione a bordo. Tutto si ricompone, la vita del capo dei mercenari, la sua amicizia stretta e sussurrata con il presidente, nell’ombra e nell’illegalità degli affari del Cremlino con i troll e le guerre vicine e lontane; poi la decisione di rendersi visibile, di minacciare i nemici, i disertori, di urlare davanti a una telecamera con i corpi dei suoi combattenti morti, di pretendere le dimissioni di chi la guerra ha dimostrato di non saperla fare; e poi la marcia rumorosa con gli aerei abbattuti, le strette di mano con la popolazione di Rostov; la retromarcia, l’incontro segreto con Putin, la foto con i collaboratori dei leader africani e ancora la foto in mutande in Bielorussia; il perdono del presidente mai arrivato e una storia lasciata in sospeso per due mesi e poi finita con lo schianto. Il corpo di Prigozhin sarebbe nell’obitorio di Tver, in attesa dei risultati del test del Dna e con le salme degli altri uomini della Wagner: senza di loro la compagnia è un baraccone che non si regge in piedi.

Con la morte di Evgeni Prigozhin e di altri combattenti, il capo del Cremlino ha perso chi finora era riuscito a ottenere le ultime conquiste piccole, ma propagandate nella guerra in Ucraina. A perdere chi gestiva anche gli affari in Africa, che in questi due mesi di attesa, il Cremlino ha probabilmente già sistemato. Ma quando la Wagner aveva lasciato Bakhmut, dopo averle cambiato il nome in Artemovsk, aveva lasciato le sue posizioni all’esercito regolare,  ben sapendo che non sarebbe stato in grado di tenerle: quando gli ucraini seppero che la Wagner si stava ritirando, festeggiarono. Sono mesi che il presidente russo smantella, rimuove, incarcera chiunque abbia avuto un qualche successo nella sua violenta invasione contro Kyiv.  Ha spicconato la Wagner, ha rimosso l’unico generale che era riuscito a fornire all’esercito russo una strategia. Sergei Surovikin, altro personaggio violento, conosciuto per i massacri e la brutalità come Prigozhin, a ottobre del 2022 era stato nominato a capo delle operazioni in Ucraina. Aveva messo a punto la strategia del colpire con raid aerei martellanti le infrastrutture energetiche dell’Ucraina poi, a novembre, aveva deciso di ritirare i suoi uomini da Kherson. Aveva capito che sarebbe stato un bagno di sangue, se la Russia voleva continuare a combattere, di quegli uomini aveva bisogno. Putin ha deciso di togliergli la gestione della guerra, di affidarla a Valeri Gerasimov, di demansionarlo a capo delle forze dell’aviazione in Ucraina. Surovikin con Prigozhin condivideva anche l’idea che l’invasione fosse nelle mani sbagliate, in quelle incompetenti della coppia Gerasimov-Shoigu, e conosceva l’intenzione della Wagner di marciare su Mosca. Nessuno sa dove sia adesso Surovikin, si sa soltanto che nella guerra non decide più nulla e che il comando dell’aviazione è passato al generale Viktor Afzalov. 

Vladimir Putin mercoledì sera era a Kursk, parlava, sorrideva, le sue parole dedicate alla Seconda guerra mondiale nella penombra di una statua sovietica, erano sovrastate dall’orchestra. Lo schianto, il volo interrotto, la scomparsa di un uomo rumoroso come Prigozhin sono state un atto plateale, qualcosa in grado di spaventare. Un messaggio a chi ripeteva che la marcia si sarebbe ripetuta perché era stata lasciata senza una conclusione, era partita e mai arrivata, aveva fatto dietrofront lasciando detriti, domande, e la rabbia del presidente.  Dopo la marcia, è stato arrestato anche Igor Girkin, detto Strelkov, il cecchino, che aveva avuto un ruolo importante nell’inizio della guerra nel Donbas nel 2014, che come Prigozhin, come Surovikin, contestava la gestione dell’invasione. Putin non pensa agli obiettivi, Putin pensa alla fedeltà, si tiene stretti Shoigu e Gerasimov, che hanno dimostrato di non saper fare la guerra, e sta eliminando tutti coloro che in Ucraina un risultato, seppur piccolo,  lo hanno ottenuto. 
Resta da capire come mai Prigozhin, che in diversi video aveva detto di essere  “un morto che cammina” si sentisse comunque tanto sicuro da muoversi per la Russia comunicando i suoi spostamenti. Alcune fonti vicine alla Wagner ritengono che il capo dei mercenari avesse delle informazioni sensibili sul presidente russo e la vendetta della compagnia, più che militare, potrebbe essere pubblicare queste informazioni. Un regime disposto ad azioni dimostrative pur di mantenere il controllo, spaventare, punire i tradimenti, con un presidente ricercato per crimini di guerra, difficilmente, però, sarebbe spaventato da un kompromat. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.