Il jet abbattuto, Prigozhin e Utkin. A San Pietroburgo, nell'edificio del Centro Wagner, le luci accese delle finestre formano una croce  

Cosa sappiamo dell'aereo della Wagner precipitato

Micol Flammini

Nella lista dei passeggeri c’era Evgeni Prigozhin, il capo dei mercenari, che due mesi fa esatti aveva iniziato la marcia del “tradimento” contro Putin. Tutti i corpi sono stati recuperati. E i combattenti promettono vendetta

Sono giorni in cui gli aeroporti moscoviti vengono chiusi a intermittenza, a causa dei droni ucraini che riescono a raggiungere la capitale russa. Oggi un aereo privato Embraer Legacy 600 era partito dall’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, stava volando da mezz’ora nei cieli della regione di Tver quando, come si vede nei video circolati online, è precipitato e si è schiantato a terra.  Secondo quanto dichiarato dalle autorità russe,  i passeggeri sarebbero tutti  morti: erano in dieci, e, secondo la lista che era stata comunicata alla Rosaviatsia, l’agenzia federale per il trasporto aereo, a bordo c’era anche il presunto proprietario del jet: Evgeni Prigozhin, il capo della Wagner che per anni si è occupato degli affari nascosti del Cremlino, fino a quando  quello che era nascosto è arrivato in superficie. Anche un altro jet è partito nelle stesse ore, ha zigzagato per i cieli di Mosca ed è atterrato all’aeroporto di Vnukovo, e secondo alcune fonti apparteneva sempre a Prigozhin. Oltre al nome del capo dei mercenari, la lista passeggeri includeva anche Dmitri Utkin, tra i fondatori del gruppo Wagner, con i simboli nazisti sul collo e forse, dicono, ispiratore del nome della compagnia dei mercenari. I primi a commentare le immagini dello schianto sono stati i canali telegram vicini alla Wagner, hanno detto che l’aereo è stato abbattuto dall’esercito di Mosca, e che la scia che l’aereo si è portato dietro cadendo è  tipica degli attacchi di missili della contraerea. 

 

Sono passati due mesi esatti da quando il capo della Wagner passò il confine tra Ucraina e Russia, occupò con i suoi uomini il centro di comando di Rostov sul Don, da dove viene coordinata gran parte degli attacchi contro il territorio di Kyiv, e chiese le dimissioni del ministro della Difesa  Shoigu e del capo di Stato maggiore  Gerasimov. Vladimir Putin non lo accontentò, in un discorso in televisione lo chiamò “traditore”. Prigozhin diede allora l’ordine ai suoi di marciare, andare avanti, verso Mosca. E lungo la strada i mercenari abbatterono alcuni aerei militari russi. Il tentativo di ammutinamento si concluse con la mediazione del dittatore bielorusso  Lukashenka, e alla Wagner fu offerto di essere trasferita in Bielorussia o di essere assorbita nell’esercito. Il giorno dopo Putin fece un discorso lodando i piloti che si erano sacrificati per proteggere Mosca, morti sotto i colpi degli ammutinati. Ammise che la Wagner, fino a quel momento disconosciuta, era  una creatura nutrita dal Cremlino, ma del tradimento, in pochi giorni, non c’era più traccia. Anzi, lui e Prigozhin si erano incontrati nella loro città, San Pietroburgo, verso la quale l’aereo caduto stava volando. 

 

I corpi ritrovati a terra nell’area dello schianto, secondo l'agenzia Interfax, sono dieci, l'aereo era al completo. O Prigozhin si sentiva talmente  al sicuro da viaggiare con il suo aereo senza temere una vendetta dopo il tradimento, o talmente poco sicuro da aver dichiarato la sua presenza su un aereo e poi essere salito a bordo di un secondo. Mentre il Cremlino lasciava parlare canali telegram e agenzie, Putin era a Kursk, a ricordare la battaglie della Seconda guerra mondiale, si è goduto gli applausi, i fuochi d'artificio, poi è tornato a Mosca, in fretta. Da parte del Cremlino non è arrivata neppure una parola, la televisione di stato russa ha parlato dell'aereo, ha mostrato un video dello schianto e del fuoco a terra, ma soltanto il canale Rossija 24 ha dato la notizia  della morte di Evgeni Prigozhin come certa. 

Sono stati i canali telegram della Wagner a confermare per primi che non era possibile raggiungere il loro capo, poi la sua morte. Hanno promesso vendetta, una nuova marcia contro Mosca e i combattenti di stanza in Bielorussia hanno detto: aspettateci, è solo l'inizio. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.