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la minaccia

Come funziona la “ricetta Musharraf” riadattata al terrorismo che colpisce oggi il Pakistan

Francesca Marino

Attacco suicida in Pakistan ad un raduno del Jui-F, Isis-K rivendica. Il terrorismo e la minaccia dell'atomica nelle mani dei jihadisti riafforano in Pakistan ogni volta che il paese è in difficoltà

Cinquantasei persone sono state uccise e circa duecento ferite nell’attacco suicida avvenuto il 30 luglio scorso a un raduno del Jamiat Ulema-e-Islam Fazl (Jui-F) nel distretto nord occidentale di Bajaur, in Pakistan. Il Jui-F è uno dei principali partiti politici islamisti del Pakistan, fa parte della coalizione di governo pakistana guidata da Shahbaz Sharif, gode di uno strettissimo legame con la rete di madrasa di confessione Deobandi presenti un po’ in tutto il Pakistan e di forti legami ideologici e personali con i talebani. L’attentato è stato rivendicato dall’Isis-K, dove K sta per Khorasan, la fazione locale  dello Stato islamico. Non è la prima volta che l’Isis-K (o ISKP) attacca il Jui-F a Bajaur: secondo fonti locali, e secondo alcune dichiarazione del Maulana Fazlur Rehman, che è a capo del Jui-F, negli ultimi anni ci sarebbero stati circa ventitré attacchi ai danni di membri del partito. Secondo la narrativa ufficiale, la ragione degli attacchi sarebbe evidente: il sostegno del Jui-F alla (traballante e discutibile) democrazia pakistana e la vicinanza ideologica del partito islamico ai talebani afghani e al governo da loro guidato. Governo che, sempre secondo la narrativa ufficiale, sarebbe nemico giurato dello Stato islamico e dei suoi affiliati. La narrativa prosegue evidenziando poi l’aumento degli attacchi terroristici in Pakistan durante l’ultimo anno, 232 circa, a opera del Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp), i cosiddetti Taliban Pakistani che si battono, anche loro, contro  governo di Islamabad che, come succede regolarmente da vent’anni a questa parte, lancia periodicamente l’allarme: il paese, dotato di armi nucleari, è la prima vittima del terrorismo islamico, e il terrorismo è in aumento da quando i talebani sono tornati al potere in Afghanistan. Seguono, in genere, richieste di armi, finanziamenti e aiuti assortiti. Tutto chiaro? Non proprio. L’Isis-K si è formato nel 2017 dalla scissione dell’Isis Levante, divisosi in due fazioni: una guidata da Ustad Moawya e un’altra guidata da Aslam Faroqqi. Gli uomini di Farooqi, a capo dell’Isis-K, erano pakistani e gestiti da remoto dall’Isi, i servizi segreti militari, che forniva supporto finanziario e logistico dando rifugio ai combattenti nelle aree tribali del Pakistan. All’epoca, il National Department of Security (Nds) dell’Afghanistan denunciava i legami di Faroqqi con la Lashkar-e-Toiba, con il Tehrik-e-Taliban Pakistan, con i talebani e con la rete Haqqani. Il fior fiore della jihad pakistana. E, sempre secondo l’Nds, l’Isis-K è passato dall’essere un gruppetto insignificante ad attore di primo piano sulla scena afghana soltanto con l’aiuto del Pakistan. Facendo in pratica, sotto un diverso marchio, tutti i lavori ‘sporchi’ che i talebani, seduti all’epoca al tavolo delle trattative di Doha, non potevano o non volevano rivendicare come propri. Vale la pena notare che nel recente passato, anche diversi membri dei talebani hanno lasciato intendere di ritenere che l’ISKP operi dal lato pakistano della Linea Durand. Così come vale la pena notare che il terrorismo riaffiora in Pakistan, con la conseguente minaccia dell’atomica in mano ai jihadisti, ogni volta che il paese si trova alle strette e ha bisogno di denaro. La solita, vecchia “ricetta Musharraf”, che Islamabad non ha intenzione di abbandonare così come non ha intenzione di cambiare la sua strategia principale che è anche la sua risorsa primaria: il caos. L’allevamento di gruppi jihadisti tutti addestrati e gestiti dagli stessi maestri ma pronti, all’occorrenza, a scontrarsi tra loro. Terroristi buoni pronti a diventare cattivi e a essere ufficialmente abbandonati quando la pressione è troppo alta. L’importante, è avere sempre a disposizione uno strumento di pressione. In fondo, per i militari, le quasi settecento vittime di attacchi terroristici in Pakistan di quest’anno sono soltanto danni collaterali. Perché, come disse anni fa Hillary Clinton: “Non puoi allevare serpenti in cortile e poi aspettarti che si rivoltino soltanto contro i tuoi vicini”.

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