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Egemonia militare

Il più grande gruppo industriale del Pakistan è il suo esercito

Francesca Marino

Le forze armate pachistane sono una multinazionale con un fatturato da 26,5 miliardi di dollari, circa tre milioni di dipendenti e un'egemonia che sti estende su tutti i settori nazionali: dall'acciaio ai mobili

La grande battaglia tra Imran Khan e i generali è di fatto già rientrata e la politica pachistana tutta, compreso Imran, si affanna a dichiarare eterno amore all’esercito. Che da sempre governa il paese, con un colpo di stato o, più spesso, manovrando i politici di turno. Non soltanto in virtù di cannoni e fucili, ma anche e soprattutto perché detiene le chiavi del vero potere: quello economico. L’esercito è difatti il gruppo industriale più grande del Pakistan, una multinazionale con un fatturato da 26,5 miliardi di dollari e circa tre milioni di persone a libro paga. Una multinazionale che, nonostante la crisi economica, cresce di un buon 20 per cento annuo e che gestisce progetti commerciali e operazioni finanziarie in tutto il paese per un totale che ammonta al 10 per cento circa del pil: il che la rende sotto questo aspetto e in proporzione, la multinazionale più ricca del mondo. Più ricca dei multimiliardari gruppi della porta accanto, gli indiani Ambani o Adani, e anche più ricca della maggior parte dei gruppi occidentali o cinesi. Si tratta della benemerita quanto misconosciuta all’estero Fauji Foundation, fondata nel 1954 dall’allora capo dell’esercito generale Ayub Khan e dal segretario alla Difesa Iskandar Mirza, cioè, in parole povere, dall’esercito pakistano. Che non sarà, come sostengono i suoi generali, l’esercito più forte del mondo visto che documenti alla mano non ha mai vinto una guerra, ma che di certo è l’esercito più ricco del mondo. Tanto da giustificare la vecchia ma sempre attuale battuta: tutte le nazioni hanno un esercito mentre, in Pakistan, è l’esercito a possedere una nazione. 

L’esercito pachistano ha interessi praticamente in ogni settore. Produce, tra le altre cose, acciaio, mobili, beni di consumo, prodotti farmaceutici, alimentari, cereali, carni lavorate e molto altro. E’ la più grande impresa di costruzioni del paese, con circa 50 progetti di sviluppo di unità immobiliari a uso abitativo che si estendono su migliaia di acri: la Dha (Defense Housing Authority) di Islamabad copre più di sedicimila acri, quella di Karachi circa dodicimila. I terreni in questione vengono assegnati a titolo gratuito dal governo all’esercito, che rivende poi case ai privati con sovrapprezzi da capogiro. L’esercito possiede miniere, cliniche e ospedali, scuole e università sparse in tutto il paese. E’ il più grande produttore di cemento e fertilizzanti del Pakistan. Ed è un colosso del petrolio e del gas, con oltre due dozzine di imprese coinvolte nell’importazione, nella distribuzione e nella lavorazione di prodotti petroliferi, ed è il principale appaltatore della Suparco (Space and Upper Atmosphere Research Commission of Pakistan). Ha guadagnato cifre da capogiro anche durante la  guerra al terrore in Afghanistan, accreditandosi come il principale fornitore di beni e servizi alle forze della coalizione e a tutti gli appaltatori stranieri che lavoravano in Afghanistan, nelle Fata e nel Khyber Pakhtunkhwa. 

I militari sono coinvolti anche nelle imprese del settore pubblico. Più di una dozzina di società, tra cui la Water and power development authority, la National logistics cell, la Frontier works organization e la Special communications organization sono controllate dall’esercito. E i militari possiedono la Askari Bank, che è tra le prime cinque banche del paese ed è, tra le altre cose, il maggior operatore pachistano nel campo dell’energia eolica. Quasi tutte le imprese e le partecipazioni di cui sopra, sono gestite da organizzazioni di beneficenza: la Askari Foundation, la Fauji Foundation (Esercito pachistano), Shaheen Foundation (Aeronautica militare pakistana), Baharia Foundation (Marina militare pakistana), Army Welfare trust, Defence Housing Authorities e così via. Trattandosi di enti di beneficenza, creati in teoria allo scopo di fornire servizi e prestazioni al personale militare, non pagano le tasse. Anche se i profitti generati non vengono reinvestiti nelle attività suddette ma  distribuiti agli azionisti che sono, guarda caso, generali e colonnelli in pensione che non soltanto percepiscono dividendi ma finiscono in massa a gestire le società in questione oppure nei ranghi del servizio diplomatico. Visto il successo e i profitti della multinazionale, i militari si preparano adesso a entrare anche nel settore agricolo: è del mese scorso la notizia che il governo del Punjab ha ceduto all’esercito la gestione di circa 45.267 acri di terreno coltivabile. Non deve stupire perciò il fatto che, anche se il paese è alla fame, i militari si rifiutino di accettare tagli al programma nucleare o alle spese militari. Tanto, politici e generali possono sempre andare nei loro appartamenti a Londra e usare i loro conti bancari esteri. Mentre al resto del paese non resta che continuare ad adeguarsi al precetto dettato molti anni fa dall’ineffabile Zulfikhar Ali Bhutto: morire di fame o mangiare erba, pur di continuare a dichiararsi orgogliosi possessori della Bomba.

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