(foto LaPresse)

Il push factor dell'Ue

I numeri smentiscono lo slancio dell'Europa per le “vie sicure” sull'immigrazione

David Carretta

Le promesse sui reinsediamenti dei migranti dei paesi membri e il confronto con gli ingressi dei dati Eurostat. Così l’assenza di corridoi umanitari favorisce i trafficanti

Bruxelles. I leader dell’Unione europea ieri hanno nuovamente attribuito ai trafficanti di essere umani la responsabilità per gli oltre 1.800 migranti che sono morti nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno. “Il Consiglio europeo esprime la sua profonda tristezza per la terribile perdita di vite come risultato della recente tragedia nel Mediterraneo”, dice la bozza del vertice iniziato ieri, a proposito del naufragio di Pyros, dove sono morti circa 650 migranti: “L’Ue rimane impegnata a rompere il business model dei trafficanti” e vuole “gestire meglio i flussi di migranti ed evitare che le persone si imbarchino in viaggi così pericolosi”. Quest’ultima frase vuole dare una patina umanitaria alla strategia dell’Europa fortezza, con cui l’Ue sta appaltando a Libia, Tunisia e Turchia la sua politica migratoria. Oltre a fare accordi con paesi terzi per bloccare le partenze e intercettare i migranti in mare, l’Ue vorrebbe offrire un’alternativa ai rifugiati affinché non si mettano nelle mani dei trafficanti e salgano sui barconi per poter chiedere asilo. A Bruxelles si chiamano “vie legali e sicure”, in Italia “corridoi umanitari”, alle Nazioni Unite “reinsediamenti” e “ingressi umanitari”. Ma i numeri smentiscano lo slancio umanista dell’Ue e dei suoi stati membri. I rifugiati che hanno beneficiato dei corridoi umanitari nel 2022 sono stati appena 17 mila, secondo i dati Eurostat.

 

Il “reinsediamento” è il trasferimento di rifugiati riconosciuti dall’Alto commissariato Onu da un paese di transito verso l’Ue. Nella lettera di undici pagine che Ursula von der Leyen ha inviato ai leader prima del Consiglio europeo, la presidente della Commissione ha dedicato un paio di righe ai corridori umanitari. Nell’ambito della “risposta collettiva” dell’Ue, occorre anche “lavorare su vie legali alternative, in modo da porre fine alle sofferenze non necessarie e alla drammatica perdita di vite umane”. Von der Leyen ha invitato gli stati membri a essere “ambiziosi” sui reinsediamenti per il 2024-25. La scadenza per annunciare all’Ue gli impegni è fissata al 15 settembre. Von der Leyen aveva già lanciato appelli simili in passato, senza grandi risultati. Per il 2023 gli stati membri hanno promesso 29.157 reinsediamenti, di cui 13.260 ammissioni umanitarie dall’Afghanistan (sono gli afghani che avevano lavorato per gli europei, lasciati indietro durante il ritiro dell’agosto 2021). Per tutte le altre nazionalità (siriani, iracheni, sudanesi, eritrei, eccetera) i posti promessi sono appena 15.897. Tra gli stati membri, la più generosa è la Germania (18.500), seguita dalla Francia (3.000). L’Italia ha promesso di accogliere con i corridoi umanitari 1.350 rifugiati. Austria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia e Polonia non hanno voluto partecipare ai reinsediamenti nel 2023.

 

In realtà, alle promesse sui reinsediamenti spesso non corrispondono gli ingressi. Nel 2022 l’Ue aveva assicurato che avrebbe accolto 20 mila rifugiati con i reinsediamenti. Alla fine sono stati 17.335, in calo rispetto ai 18.460 del 2021. Le promesse dell’Ue sui reinsediamenti, inoltre, sono incomparabilmente più basse rispetto al numero di migranti a cui viene concessa la protezione internazionale. Secondo Eurostat, nel 2022 le richieste di asilo sono state 881 mila. Le decisioni positive sulla protezione internazionale sono state 384 mila: cento volte più dei posti promessi con i reinsediamenti. Dietro ai morti in mare non c’è solo il “pull factor”, ma anche il “push factor”: l’assenza di corridoi umanitari spinge i migranti a salire sulle barche dei trafficanti, che affondano sotto gli occhi indifferenti dell’Ue.