Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi (foto LaPresse)

a 10 anni dal colpo di stato

I conti dell'Egitto sono un colabrodo e tolgono il sonno a Sisi

Luca Gambardella

Mentre spende miliardi in mega progetti, il 60 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. E si dice che per paura dei generali il presidente dorma ogni notte in un posto diverso

All’indomani del colpo di stato del 2013, gli egiziani di qualsiasi fronte, che fosse quello sconfitto dei Fratelli musulmani o quello vittorioso del generale Abdel Fattah al Sisi, presero coscienza di una cosa: potevano ribellarsi al potere, se questo avesse abusato della loro pazienza. Oggi, a raccogliere quel monito è proprio il presidente Sisi, che si ritrova alla guida di un paese dai conti in dissesto e con il 60 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà. “Sisi dovrebbe temere il momento in cui gli egiziani decideranno che non hanno più nulla da perdere”, ha titolato il quotidiano israeliano Haaretz. La rimozione dell’ultimo presidente democraticamente eletto, Mohammed Morsi, ha insegnato al generale che se vuole tenersi stretto il palazzo presidenziale di Heliopolis è meglio non fidarsi di nessuno. Nemmeno dei militari, coloro che fino a oggi l’hanno sostenuto. L’Economist ha rivelato come Sisi abbia talmente tanta paura che stia rotando spesso i compiti dei generali per evitare che acquisiscano troppa influenza. Sembra anche che il timore di essere fatto fuori da un momento all’altro lo spinga a trascorrere le sue notti ogni volta in un posto diverso. 

  

  

Il motivo del sonno disturbato di Sisi è il malumore generale per la sua gestione dell’economia. Le schiere di emiri del Golfo, che fino a qualche tempo fa si mobilitavano per soccorrere il gigante egiziano con moneta sonante, si sono volatilizzate. Invece che salvare le banche, ora le vogliono comprare e questo non piace per nulla ai militari, i  veri controllori dell’economia del paese  che vedono come una minaccia ogni progetto di liberalizzazione. Sisi stesso è accusato di soffrire di una sindrome di grandeur che sta peggiorando lo stato delle finanze pubbliche, oltre a mettere in pericolo il futuro del suo potere. Mega progetti come il raddoppiamento del Canale di Suez, con un costo di 8 miliardi di dollari, la posa di centinaia di chilometri di strade ferrate, dal Mediterraneo al Mar Rosso, per altri 20 miliardi di dollari, la costruzione di una ventina di nuove città. Fra queste c’è anche la nuovissima capitale amministrativa, un gigante di cemento eretto al centro della zona desertica alla periferia del Cairo. I lavori cominciarono nel 2015, con una spesa monstre di 58 miliardi di dollari per dimostrare al mondo che una piccola Dubai poteva sorgere anche in Egitto. Oggi i suoi grattacieli  sono spopolati e molti di quegli egiziani che non hanno i soldi per comprare il pane li vedono come fossero monumenti agli sprechi insensati di un presidente mitomane. 

 

Lo stato è ultra indebitato con l’estero per quasi 163 miliardi di dollari, un dato che secondo la Banca mondiale raggiungerà il 95 per cento del pil del paese entro la fine dell’anno. La situazione è grave al punto che il mese scorso i pagamenti per le forniture di grano, gran parte delle quali provenienti dall’estero, sono stati bloccati. Ma mentre l’inflazione è salita del 60 per cento, Sisi invita a non preoccuparsi troppo: “Certo, il cibo è caro – ha detto la settimana scorsa in un discorso ad Alessandria – Ma noi stiamo costruendo un paese. Volete mangiare a prezzi più bassi? Allora per farlo dovrò lasciare l’immondizia per strada e farvi dormire senza un tetto”. Sull’onda del greenwashing inaugurato lo scorso anno con la Cop 27 di Sharm el Sheikh, il presidente ripete che le spese servono a modernizzare il paese rendendolo più sostenibile a livello ambientale. Ieri, parlando a Parigi al Summit organizzato da Emmanuel Macron per un Nuovo patto finanziario globale, Sisi ha detto che di fronte a un obiettivo tanto ambizioso i suoi creditori devono avere un po’ di pazienza e ha chiesto al Fondo monetario internazionale – che gli ha già versato 3 miliardi di dollari – di rivedere il sistema degli aiuti, cancellando gli interessi sui prestiti quando un paese affronta un momento particolarmente difficile. “I nostri partner per lo sviluppo dovrebbero avere un po’ di comprensione”, ha aggiunto. Fra chi si è mostrato più comprensivo c’è la Russia, che tramite la compagnia di stato Rosatom sta completando la costruzione di quattro reattori nucleari per un investimento di quasi 30 miliardi di dollari. Ma a Sisi non basta, perché i suoi veri partner strategici, dall’occidente al Golfo, non raccolgono i suoi inviti alla calma e gli chiedono anzi liberalizzazioni urgenti. I generali sanno che il loro status privilegiato e la pazienza degli egiziani non sono mai stati così precari. Significa che se le cose non dovessero cambiare, per Sisi il problema vero potrebbe arrivare dal suo stesso entourage.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.