Clarence Thomas (Alex Wong / Getty Images)

Il ritratto

L'enigma del giudice Clarence Thomas, alfiere del conservatorismo nero

Matteo Muzio

Nella chiacchieratissima Corte Suprema americana c’è un grande vecchio che da sempre fa parlare (spesso male) di sé. Le accuse politiche, il “pessimismo razziale” e un’altra sentenza in arrivo che cambia tutto

Clarence Thomas è una delle figure più misteriose e controverse della politica americana pur essendo un giudice della Corte Suprema, quindi di per sé un simbolo della neutralità giurisprudenziale – concetto anche questo nella realtà assai aleatorio, dato che le due principali filosofie del diritto, quella originalista, più legata alla testualità della Costituzione, e quella organista, che invece guarda alla Carta come a un testo vivente che si adatta un mondo che cambia, ricalcano nei fatti l’orientamento politico conservatore e quello progressista. Thomas, nominato alla Corte da George Bush Senior nel 1991, è un deciso alfiere del primo orientamento. In questi ultimi trent’anni si è distinto come un suo seguace e promotore, pure se non è un conservatore come gli altri, essendo intanto un afroamericano. Le sue idee politiche gli hanno provocato, da parte progressista, numerose accuse di “tradimento” della comunità afroamericana, con parecchi insulti collegati: sin dal giorno della sua nomina, passata di stretta misura al Senato per 52-48 (dopo che qualche anno prima un altro conservatore come Antonin Scalia era stato confermato con 98 voti a favore e nessun contrario), si capì che Thomas sarebbe stato l’esponente di una nuova epoca per la Corte Suprema, un’epoca di maggiore scrutinio della vita privata dei giudici e delle loro idee politiche. Thomas si è infatti poi fatto notare non solo per il suo rigido conservatorismo costituzionale, che rasenta il letteralismo, ma anche per l’attivismo di sua moglie Ginni, una delle più note attiviste del mondo repubblicano, che nel 2020, è finita nelle indagini sul tentativo da parte di Donald Trump di rovesciare il risultato delle elezioni presidenziali.

 

Eppure, Thomas, come giurista, iniziò come progressista. Nel documentario “Created Equal: Clarence Thomas in his own words”, uscito nel 2020, il giudice racconta che, quando nel 1974 entrò nell’ufficio del procuratore generale del Missouri John Danforth quale suo assistente, pensava che tutti gli afroamericani fossero grosso modo dei “prigionieri politici”. Con il tempo questa sua visione si è attenuata e si è poi trasformata in qualcosa di diverso anche dal conservatorismo classico, con una visione personale sul profondo retaggio razziale che in qualche modo lo lega al suo predecessore, il giudice Thurgood Marshall, il primo afroamericano nominato alla Corte Suprema dal presidente Lyndon Johnson. Insomma, quel ragazzo nato in povertà assoluta nella Georgia segregazionista con una madre single nella grande casa del nonno, che riuscì con difficoltà a prendere una laurea in legge all’università di Yale (“Per merito e non grazie all’affirmative action”, come da lui specificato in una rara intervista), si è ritrovato a essere forse il più potente e inamovibile giudice conservatore degli ultimi anni, anzi, “un politico in toga”, secondo l’accusa del senatore democratico Sheldon Whitehouse durante una recente riunione della comissione Giustizia del Senato. Anzi, sempre per citare Whitehouse, che riporta la recente inchiesta del portale di giornalismo investigativo ProPublica, Thomas è un “politico corrotto” per aver nascosto alla Corte Suprema i numerosi viaggi in resort di lusso spesati dal miliardario texano Harlan Crow. Uno scandalo poi finito nel nulla, dato che, costituzionalmente, è la stessa Corte Suprema a doversi autoregolamentare. “Molto rumore per Clarence”, ha scritto il magazine conservatore antitrumpiano The Bulwark.

 

Al netto dell’odio dei progressisti e della difesa d’ufficio dei repubblicani, chi è veramente Clarence Thomas? Secondo Corey Robin, docente di scienze politiche alla City University di New York (Cuny), Thomas è un mistero. Anzi un enigma, da cui il titolo della sua biografia politica The Enigma of Clarence Thomas, pubblicata nel 2019 e ancora inedita in Italia. Robin cerca di ripulire il campo dalle congetture sui possibili secondi fini del giudice e di comprendere meglio perché Thomas è diventato Thomas attraverso le sue sentenze e i suoi pareri dissenzienti. Raggiunto dal Foglio, Robin spiega che l’ideologia di Thomas è il “pessimismo razziale”: “Thomas crede che il razzismo sia una caratteristica ineliminabile dell’America sin dai tempi della fondazione e questo è un assunto incredibile se pensiamo che nei suoi scritti viene elaborato da un conservatore”. Non solo, Thomas “pensa che il razzismo non possa venire eliminato”, da cui il suo nichilismo sul tema, simile a quello della sinistra radicale per la quale ha simpatizzato nei suoi anni da studente di giurisprudenza e da cui è partito per creare un nuovo conservatorismo nero, sulla scia di un’antica tradizione politica che risale a Booker T. Washington, ex schiavo che fondò nel 1881 il Tuskegee College in Alabama, dedicato all’istruzione degli afroamericani, dando loro una specializzazione spendibile nell’industria. A differenza di altri suoi coetanei, come il progressista Frederick Douglass, Washington non credeva nell’instaurazione dall’alto dei diritti civili, anzi, arrivò persino ad accettare il regime di segregazione, perché riteneva fosse un’istituzione temporanea. Grazie al duro lavoro e all’impegno costante, la comunità afroamericana avrebbe dimostrato di farsi valere nella società di mercato americana, entrandovi a pieno titolo. Un assunto che però si spezzò nel 1921, quando il ricco quartiere afroamericano di Tulsa, in Oklahoma, fu raso al suolo da una folla organizzata dal Ku Klux Klan e sostenuta dai membri della comunità bianca locale. Nonostante questo, Thomas crede che tutte le angherie che i bianchi hanno lanciato contro i neri siano state concime per il fecondo sviluppo intellettuale della comunità. Al contrario, il welfare di matrice democratica ne ha fiaccato lo spirito, rendendoli dipendenti dai sussidi pubblici e inclini alla delinquenza.

 

Da queste riflessioni scaturisce la peculiare caratteristica del pensiero di Thomas, che Robin esplicita e che, secondo il suo parere, è stato equivocato infinite volte. Secondo il docente della Cuny, Thomas non è stato ben compreso da nessuno: “Per i progressisti Thomas è semplicemente un traditore, un collaborazionista o per usare un termine denigratorio, uno Zio Tom che serve gli interessi dei bianchi ricchi razzisti; per i conservatori Thomas vede già una società senza razze, dove ognuno si deve fare strada senza l’aiuto del governo federale, grazie alle sue capacità e a un sistema meritocratico”. Per Robin nessuna di queste due affermazioni è vera perché entrambi gli schieramenti vedono Thomas come il riflesso di quello che vorrebbero vedere, un nemico giurato o un alleato di ferro. Nulla di tutto questo: Thomas ha voluto creare una nicchia specialissima di conservatorismo nero per espanderlo e rendere questo tipo di idee sempre più popolare in una comunità che vota a stragrande maggioranza per i democratici. Il suo progetto però non è di natura elettorale e questo lo distacca leggermente da altri recenti esponenti conservatori afroamericani come il senatore della Carolina del sud Tim Scott. “Le fortune elettorali dei neri conservatori vengono e vanno”, dice Robin: “L’influenza di Thomas si è allargata soprattutto nella Corte Suprema, dove grazie alla sua posizione di giudice più anziano può influenzare molto la scrittura delle sentenze. Forse però il segno maggiore lo sta lasciando in ambito culturale. Prendiamo una delle sue posizioni più radicalmente di destra, quella riguardante il possesso di armi”. Per Robin la scelta di Thomas di difendere sempre e comunque i possessori di armi contro qualsiasi regolamentazione statale e contro ogni buonsenso è legata al fatto che “sempre più afroamericani stanno comprando armi da fuoco. Anche in questo campo molto caro alla destra Thomas vede l’interesse della comunità, che quindi fa suoi certi temi cari alla destra”.

 

Nonostante la riluttanza di Thomas a parlare in termini elettorali, il dato delle ultime elezioni di metà mandato ci restituisce una percentuale notevole di maschi neri che ha votato per i repubblicani, intorno al 20 per cento, mostrando così come anche nelle urne ci sia l’impronta di Thomas. Ma è sulle questione più recente che Corey Robin, un intellettuale che non ha mai nascosto la sua vicinanza alla sinistra liberal ed è un collaboratore del magazine socialista Jacobin, mostra una visione fuori dagli schemi: l’amicizia di Thomas con Harlan Crow non è una questione di corruzione, ma di inevitabile vicinanza. Spiega Robin che Thomas ha sempre avuto “la visione netta che gli uomini ricchi debbano avere non solo il potere economico, ma anche quello politico. Per lui ‘money is speech’, un concetto difficilmente traducibile che potremmo rendere con ‘più sei ricco, più devi contare’. Per quello i miliardari come Harlan Crow cercano la sua amicizia. Perché le idee di Thomas li rendono più potenti. Ma questo prescinde da eventuali casi di corruzione, che peraltro qua non vedo”.

 

Molto rumore per nulla, dunque, un polverone che ha rafforzato la posizione di Thomas non solo agli occhi della destra (il mondo conservatore lo difende anche perché risulta ai loro occhi come la perfetta dimostrazione che le categorie della sinistra sono fallaci), ma anche all’interno della stessa Corte Suprema, che più che avere un problema etico, per Robin ha un problema “di eccesso di potere. La grande questione che probabilmente rimarrà insoluta riguarda proprio questo, una concentrazione assoluta di potere che dev’essere limitata”. Un’azione che però tarda ad arrivare e questo fa sì che “Thomas starà con noi ancora a lungo e bisognerà sempre tenerlo d’occhio, anche perché è un impareggiabile ‘barometro’ dei cambiamenti di orientamento all’interno del mondo repubblicano”, conclude Robin. Di fronte al giudice sta per finire una delle questioni nodali dell’avanzamento degli afroamericani dopo la fine della segregazione, ovvero l’affirmative action, la politica di selezione attuata dalle istituzioni che consente di utilizzare anche i criteri razziali in modo da includere chi viene da contesti più svantaggiati. Sono stati presentati due ricorsi da parte del gruppo “Studenti per le ammissioni eque” che accusa un college della Carolina del nord e l’università di Harvard di attuare una “discriminazione al contrario” nei confronti degli studenti asiatici e dei bianchi. A giugno la Corte suprema dovrebbe esprimersi sulla costituzionalità dell’affirmative action, usata per la prima volta in un decreto esecutivo del presidente John Fitzgerald Kennedy nel 1961. Se ci può essere incertezza sul voto della Corte, Thomas in passato è stato molto chiaro: l’affirmative action vìola l’equa protezione garantita dalla Costituzione, e lo ha confermato anche in un suo dissenso scritto nel 2016 e sottoscritto da lui soltanto. Secondo lui il provvedimento avrebbe fiaccato lo spirito d’iniziativa degli afroamericani, danneggiandoli nella competizione con i bianchi.

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