Washington, protesta dopo la sentenza contro l'aborto (LaPresse)

roe vs Wade

Nell'America sempre più spaccata, la Corte è nel mirino. Biden promette che “non finisce qui”

Matteo Matzuzzi

Il rovesciamento della Roe vs. Wade polarizza ancora di più gli Stati Uniti. In vista dei dibattiti delle elezioni di midterm del prossimo novembre inizia la corsa agli schieramenti

Il menù per il dibattito in vista delle elezioni di midterm del prossimo novembre è servito, e già c’è la corsa di rappresentanti, senatori e governatori di ambedue gli schieramenti a dire la loro sulla sentenza con cui la Corte Suprema ha rovesciato la Roe vs Wade, stabilendo che non esiste un diritto costituzionale all’aborto e che la materia deve tornare in capo agli stati (13 sono già pronti a vietare l’aborto in modo “automatico” e altri seguiranno a ruota). Una sentenza “crudele e scandalosa”, l’ha definita la speaker della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, mentre l’ex vicepresidente Mike Pence ha esultato, plaudendo alla “vittoria della vita”. Qualunque cosa avessero deciso i giudici, nell’America divisa a metà e sempre più polarizzata, era certo che le piazze sarebbero state riempite da manifestanti. La Corte Suprema sceglie la strada originalista, come del resto appariva scontato guardando alle ultime nomine repubblicane e stando al leak diffuso mesi fa che di fatto anticipava il verdetto.

  

E in questo va contro quello che si riteneva essere il sentiment generale, anche secondo il giudizio di quegli osservatori conservatori che, pur non condividendo l’impostazione di Roe vs Wade, ritenevano che non si potesse tornare indietro di mezzo secolo. Ché il mondo è cambiato, la società pure e i rischi sarebbero stati maggiori dei vantaggi. Pare che la linea fosse condivisa anche dal Chief justice, il repubblicano John Roberts, che nella sua opinion ha messo nero su bianco che i colleghi avrebbero dovuto fermarsi prima, bocciando quel che c’era da bocciare ma salvando l’impianto della sentenza del 1973. Non a caso, Roberts ha scritto che la decisione della Corte rappresenta “una grave scossa al sistema legale”. “Secondo il mio rispettoso punto di vista, il buon esercizio della discrezione avrebbe dovuto portare la Corte a risolvere il caso, piuttosto che annullare completamente Roe e Casey”.

 

Insomma, il giudice capo puntava a una soluzione non di muro contro muro, per quanto possibile compromissoria, che evitasse appunto quella “scossa” le cui conseguenze non sono ancora evidenti ma facilmente prevedibili. Ad esempio, la migrazione di donne decise a interrompere la gravidanza negli stati che lo consentiranno. I suoi colleghi di banco, a cominciare dall’estensore della sentenza, Samuel Alito, nominato da George W. Bush nel 2005, hanno detto di no. Seguito a ruota, oltre che da Clarence Thomas, da Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett, colei che ha preso il posto di Ruth Bader Ginsburg negli ultimi scampoli di presidenza trumpiana.

 

Davanti al palazzo della Corte suprema si è subito radunata una folla armata di cartelli recanti slogan ingiuriosi all’indirizzo dei giudici: torna il tema dell’illegittimità della Corte di cui tre giudici sono stati nominati da Donald Trump – che venerdì ha commentato “E’ stata fatta la volontà di Dio” – su consiglio della potente Federalist Society, che nel quadriennio trumpiano alla Casa Bianca è riuscita a piazzare decine di giudici nei tribunali inferiori. E torna, quindi, il disegno già vagheggiato due anni fa da settori liberal di procedere all’aumento del numero dei giudici supremi, portandoli a dodici, quindici o più, in modo da “rispondere di più al sentiment del paese”. Dopotutto, neanche il numero dei componenti la Corte è scritto nella Costituzione. Si può fare, anche se i rischi non mancano: il senatore repubblicano Mike Lee ha già detto che se i democratici dovessero procedere con il progetto, una volta che il Gop sarà tornato alla Casa Bianca procederà a un’ulteriore immissione di giudici, al punto che la Corte Suprema si trasformerà “nel Senato galattico di Star Wars”. Forse non conviene neppure a Joe Biden, che venerdì fatto sapere che “non finisce qui. Con i vostri voti potete dire l’ultima parola”. La campagna elettorale entra nel vivo.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.