Bomba sull'alleanza

Il leader dei curdi in Siria è con tre americani e arriva un drone: il sospettato è Erdogan

Fermare quei droni turchi non è “soltanto” un dovere verso chi ha combattuto l'Isis per noi

Cecilia Sala

Cosa ci facciano gli americani insieme ai curdi in Siria è noto dal 2014: combattono lo Stato islamico. “Quale sarebbe la risposta degli Stati Uniti se la Turchia uccidesse sul campo un soldato americano?”, si sono domandati gli esperti. Soprattutto, non sarebbe meglio muoversi ora per evitare di arrivare al punto in cui dovremo scoprirlo?

Al periodico briefing con i cronisti del Pentagono, un giornalista turco ha chiesto al portavoce della Difesa cosa ci facessero dei soldati americani in auto insieme al leader dei curdi siriani. Cosa ci facciano gli americani insieme ai curdi in Siria è noto dal 2014: combattono lo Stato islamico. Il giornalista si riferiva alla notizia di un bombardamento mirato contro un’auto su cui viaggiava il generale Mazloum Abdi, il capo delle Unità di difesa del popolo siriane (Ypg), insieme a tre soldati americani. Ma nello scambio con il generale Ryder a Washington, il cronista non era interessato alla bomba, solo alle cattive compagnie dei dipendenti del Pentagono, infatti poi ha titolato: “Gli americani ancora si rifiutano  di riconoscere il legame tra il Pkk  e l’Ypg”. Il tono indignato era fuori luogo e la questione andrebbe ribaltata:  la Turchia, un paese della Nato, è sospettata di aver lanciato l’attacco che per poco non ammazzava tre americani e decapitava un’organizzazione che merita gratitudine ed  è un socio fondamentale degli Stati Uniti in medio oriente. 

Due giorni fa il generale Ryder ha ribadito che l’Ypg in Siria e il Partito dei lavoratori curdo (Pkk) non sono la stessa cosa, anche se sono imparentati. Il discrimine fondamentale è che i curdi siriani non hanno minacciato la Turchia, la loro missione è stata ed è resistere a Bashar el Assad e combattere il terrorismo dei fondamentalisti islamici per difendere se stessi e tutti noi. Washington e Ankara, da molti anni, sanno di essere in perfetto disaccordo sulla questione delle milizie curde ed Erdogan insiste sul punto per cui la linea di separazione tra le varie organizzazioni sarebbe in realtà una chimera, lui considera lo Ypg nulla più che una propaggine del Pkk. In Turchia c’è un detto: “La differenza tra il Partito dei lavoratori del Kurdistan e le Unità di difesa del popolo siriane è la stessa che c’è tra il Regno Unito e la Gran Bretagna”. E’ un modo di dire che va di moda soprattutto tra gli elettori nazionalisti del presidente Erdogan e al leader fa sempre comodo titillare questo genere di sentimenti a casa, ma gli è utile a maggior ragione adesso che manca solo un mese alle elezioni generali di domenica 14 maggio. La teoria che ci sarebbe Ankara dietro al bombardamento contro il leader curdo è girata anche sui social turchi. 

Tra due paesi che fanno parte della stessa alleanza militare una cosa è essere in disaccordo e un’altra è bombardarsi: ci sono più di novecento soldati americani impegnati in Siria accanto agli uomini del generale Abdi ed è noto, lo stupore sulle “strane compagnie” mostrato dal giornalista turco al Pentagono era una pantomima. L’operazione con il drone è avvenuta venerdì scorso su una strada di Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno. Né il generale a capo della resistenza curda in Siria né i tre soldati americani che erano in auto con lui si sono fatti male, ma solo perché il drone ha mancato il colpo. 

Il Centcom, il Comando centrale militare degli Stati Uniti, ha diffuso un comunicato  striminzito in cui dice che sta indagando sull’esplosione, non nomina ovviamente la Turchia e neppure il bersaglio principale, il generale, però da quel giorno diversi funzionari occidentali hanno detto alla stampa che l’ipotesi secondo cui dietro all’attacco ci sarebbe Erdogan sembra, al momento, la più convincente e la più plausibile. L’analista Sinan Ciddi, un esperto di politica turca che insegna all’Università della Marina militare americana, si è chiesto se gli Stati Uniti abbiano intenzione di mandare un messaggio chiaro a Erdogan sul fatto che i loro partner in giro per il mondo non sono bombardabili. Che non si può eliminare il capo di un gruppo di combattenti che sono stati indispensabili per andare molto vicino allo sconfiggere lo Stato islamico sul campo e che sono tuttora insostituibili per il mantenimento di questo risultato. E non solo per la strada fatta insieme finora, ma perché gli uomini del generale Abdi ospitano addestratori, consulenti e truppe di supporto americane anche oggi. Per Ciddi, la Casa Bianca deve informare Erdogan che qualsiasi attacco agli alleati curdi in Siria è inaccettabile e che, se il presidente turco vuole presentarsi come un leader deciso a casa, deve sapere che non lo può fare a spese dei militari statunitensi. Il rischio è sempre lo stesso: che Erdogan, anche perchéforte del ruolo che ha assunto nella guerra che la Russia sta facendo all’Ucraina, abbia ormai l’impressione di potersi permettere qualsiasi cosa all’interno di Siria e Iraq.  

“Quale sarebbe la risposta degli Stati Uniti se la Turchia uccidesse sul campo un soldato americano?”, si è domandato Ciddi. Soprattutto, non sarebbe meglio muoversi in anticipo per evitare di arrivare al punto in cui dovremo scoprirlo?

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