La rete di solidarietà per Gershkovich e la luce sempre accesa

Paola Peduzzi

Mosca vuole condannare il reporter per poi scambiarlo, e intanto vieta le visite. Il mandato di Putin

Secondo alcune fonti di Bloomberg, Vladimir Putin ha approvato personalmente l’arresto di Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal ora rinchiuso nel carcere Lefortovo di Mosca con l’accusa di spionaggio – rischia vent’anni di prigione. Le fonti sono naturalmente anonime, ma dicono che quest’arresto è la dimostrazione che il presidente russo non soltanto vuole rendere il suo paese impenetrabile e illeggibile, ma anche che il ripristino di una qualche relazione con l’occidente è fuori discussione. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ribadito quel che anche l’ambasciata russa in Italia ha scritto al Foglio e alle testate che hanno firmato l’appello per la liberazione di Gershkovich

   

La versione ufficiale del Cremlino sostiene che il giornalista è stato colto in flagrante nella sua attività di spionaggio a Ekaterinburg, a millequattrocento chilometri da Mosca, ed è stato catturato da agenti dell’Fsb, i servizi segreti russi. Peskov dice che non è stata una decisione di Putin, ma l’arresto “era una prerogativa assoluta dei servizi speciali: hanno fatto il loro lavoro”. Il viceministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha detto che il Cremlino valuterà l’ipotesi di uno scambio soltanto “dopo che un tribunale darà il suo verdetto sulle accuse”. Il dipartimento di stato americano ha utilizzato l’espressione “detenuto ingiustamente” per descrivere la situazione di Gershkovich: in questo modo, il giornalista è di fatto considerato un ostaggio politico e questo dà margini di manovra e di negoziato maggiori ai funzionari americani. Ma fino a questo momento, i russi non hanno permesso ai diplomatici statunitensi di visitare Gershkovich in carcere e non è ancora stata fissata alcuna data per il processo. Non si sa nulla, insomma, nemmeno sulle attuali condizioni del giornalista. Sappiamo però che cos’è Lefortovo, il carcere in cui Stalin torturava i dissidenti.

  

Linda Kinstler, autrice di “Come to This Court and Cry: How the Holocaust Ends” e giornalista di molte testate internazionali, ha raccontato qualcosa in più sul magazine 1843 dell’Economist. E’ un’amica di Gershkovich, quando ha saputo del suo arresto è andata a vedere la loro chat, non si parlavano da qualche mese, ma “non ho potuto non notare che le icone di fianco al suo nome erano verdi, cosa che indica che si è online. A quel punto, Evan era già a Lefortovo, la prigione oggi gestita dagli agenti dell’Fsb: non ha alcun accesso al mondo esterno, certamente non era lui di fronte al suo telefono”. La Kinstler  cita quel che alcuni familiari di detenuti a Lefortovo hanno raccontato: “I detenuti vengono perquisiti e messi in quarantena, confinati in celle dotate di telecamere e luci che non vengono mai spente. Non sono autorizzati a fare telefonate, e possono comunicare con il mondo esterno solo attraverso i loro avvocati, quando sono autorizzati a incontrarli, e con lettere scritte a mano, quando sono consentite carta e penna”. Non sapere nulla è normale nei paesi autoritari, ma non per questo è meno spaventoso. La Kinstler aggiunge però un elemento di speranza: la solidarietà di chi è già passato a Lefortovo e sa come funziona. Gli amici a Mosca di Gershkovich si stanno organizzando, “Ksenia Mironova, una giornalista russa il cui fidanzato, Ivan Safronov, ha trascorso più di due anni a Lefortovo prima di essere trasferito in una colonia penale, li consiglia. Non appena ha sentito che Evan era stato trasferito a Lefortovo, ha scritto un documento che spiega quali cose possono e non possono essere inviate ai detenuti – Evan avrebbe bisogno di carta igienica e un piccolo bollitore, e soldi per comprare articoli da toeletta e cibo”.
 

Chi conosce il pericolo in cui è il giornalista americano si mobilita, anche Brittney Griner, la cestita arrestata, condannata e poi scambiata con il trafficante d’armi Viktor Bout, ha messo a disposizione i suoi avvocati e i suoi contatti a Mosca. Evgenia, la moglie di Vladimir Kara-Murza, l’oppositore di Putin che ha passato l’ultimo anno a Lefortovo, che è sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento e per il quale un procuratore russo ha chiesto venticinque anni di carcere, dice che da ultimo a suo marito non consegnano più le lettere che riceve, “la censura si è fatta più dura”: sono lettere di incoraggiamento, innocue ma comunque vietate. Evgenia dice che però l’arresto di Gershkovich ha una finalità diversa rispetto al caso di suo marito: l’obiettivo è sempre terrorizzare e far sentire tutti in pericolo, ma “Mosca ha bisogno di ostaggi – dice – perché le spie russe stanno sbucando da ogni parte, come funghi dopo la pioggia”, gli europei le scovano, “Mosca le vuole indietro”. Le persone sono merce di scambio da tenere chiuse in galera, senza contatti, senza informazioni, senza motivo, ma con la luce sempre accesa. 

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi