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L'arresto del reporter Gershkovich e la presidenza russa all'Onu sono inconciliabili

Micol Flammini

Il giornalista è accusato di spionaggio ed è diventato un ostaggio di Mosca che cerca di fare pressioni su Biden per uno scambio di prigionieri. Può una nazione senza legge assumere dal primo aprile la guida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite?

L’ultimo articolo apparso sul Wall Street Journal con la firma di Evan Gershkovich era intitolato: “L’economia russa sta iniziando a crollare”. Dentro, assieme al collega Georgi Kantchev, il giornalista americano elencava tutti i traumi delle finanze di Mosca, corredati dai commenti di un oligarca che affermava: “Il prossimo anno non ci saranno più soldi”. Gershkovich è stato arrestato mentre si trovava a Ekaterinburg, negli Urali. La redazione del quotidiano americano non aveva sue notizie da qualche ora e giovedì mattina il servizio di sicurezza statale russo, l’Fsb, ha annunciato di aver arrestato il giornalista perché sarebbe coinvolto nella raccolta di “informazioni segrete” su una società di difesa. Anche un tribunale di Mosca ha formalizzato l’arresto, l’accusa contro Gershkovich è di spionaggio per conto degli Stati Uniti. Il giornalista  americano viveva in Russia da sei anni e si trovava a Ekaterinburg per un’indagine  sulla reazione locale alla guerra contro l’Ucraina e sui metodi di reclutamento del gruppo Wagner, era stato nella regione qualche settimana fa ed era tornato per continuare il lavoro. Nella lotta di Vladimir Putin contro il dissenso, Ekaterinburg ha un ruolo importante, frequentemente dalla cerchia del Cremlino viene definita il centro dei “disgustosi liberali”, ha  avuto una classe dirigente contraria al presidente russo e uno degli ex sindaci della città, Evgeni Roizman, è accusato di diffamazione delle Forze armate per essersi pronunciato contro la guerra.  Secondo alcuni racconti dei media locali, Gershkovich sarebbe stato arrestato al Bukowski Grill, locale alla moda specializzato in carne alla brace e cocktail, condotto con il capo coperto  in un piccolo autobus partito nella direzione di Mosca. Alcuni giornalisti hanno raccontato al sito  Meduza che una delle ultime trasferte  di  Gershkovich era stata nella città di Nizhny Tagil, sede di un’importante fabbrica di carri armati. 

 

Il clima ostile nei confronti del giornalismo in Russia è arrivato a colpire anche i giornalisti di testate straniere, molti giornalisti locali hanno abbandonato il paese o il loro lavoro all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, mentre  le testate internazionali erano rimaste.  Gershkovich potrebbe essere punito con vent’anni di carcere e molti dettagli fanno pensare che l’ordine di arrestarlo sia arrivato direttamente dal presidente russo. I commenti rapidi e di funzionari di peso come il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, e la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, fanno capire che l’arresto di Gershkovich ha un fortissimo valore internazionale e il giornalista poco più che trentenne si ritroverà probabilmente impigliato nelle richieste e nei ricatti di Mosca che potrebbe usarlo per uno scambio di prigionieri. Il Cremlino ha già visto con il caso della cestista Brittney Griner, arrestata lo scorso anno,  le forti pressioni dell’opinione pubblica americana sul presidente Joe Biden,  che alla fine ha acconsentito a uno scambio sproporzionato, cedendo alla Russia il trafficante di armi Viktor Bout, l’uomo che per anni è stato il più ricercato dagli Stati Uniti secondo soltanto al capo di al Qaida Osama bin Laden. Da oggi Gershkovich è diventato un ostaggio nelle mani del Cremlino, e il suo arresto ha portato le relazioni tra i due paesi a un livello ancora più basso: soltanto durante la Guerra fredda i giornalisti occidentali venivano accusati di essere spie. 

 

Peskov ha detto che il giornalista è stato colto in flagranza di reato – le prove ancora non sono state mostrate, neppure accennate – Zakharova ha affermato con sicurezza che quello che faceva non era giornalismo – neppure lei ha fornito dettagli, solo accuse. Mosca,  nella gestione delle relazioni internazionali, anche nell’arresto di cittadini stranieri, si comporta senza seguire quei trattati che lei stessa ha firmato. Va dietro a una giurisprudenza asservita al putinismo e sarà questa la Russia che da oggi assumerà la guida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, un organo incaricato di preservare la pace e l’armonia nel mondo. 

 

La presidenza del Consiglio di sicurezza viene assegnata a rotazione e da oggi sarà nelle mani di un paese che ha un presidente ricercato per crimini di guerra. Lo stridore è forte, e la Russia – e per estensione Putin – assumerà questa carica con l’implicito consenso degli altri membri permanenti: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Cina. Non è soltanto un danno a livello simbolico, i rischi sono grandi anche sul piano pratico, perché con i suoi veti, in questi anni, la Russia ha preparato le basi per la sua guerra. E’ il paese che in assoluto ha utilizzato di più il potere di veto, dal 2012 ventiquattro volte, e ha sempre promosso interessi personali. Il livello di fiducia nei confronti dell’Onu è sempre più basso, l’organizzazione è costruita secondo un’architettura che nel mondo di oggi non regge più, ma un modo per fermare questa presidenza russa ci sarebbe. La via d’uscita è giuridica e sta nella Carta delle Nazioni Unite: la base dell’adesione della Russia al Consiglio di sicurezza è dubbia poiché non è mai stata soggetta a un voto di conferma, né la Russia è stata un membro fondatore originario delle Nazioni Unite.  

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.