Proteste anti Macron, contro la riforma delle pensioni in Francia (Ansa)

A parigi e non solo

Anche le più solide democrazie s'incagliano in nome dell'appello al popolo

Raffaele Romanelli

Dinamiche diverse e fondamentalmente incompatibili corrono parallele. La Francia e lo scontro tra il governo e le folle

In questi giorni in Francia, a termini di Costituzione, governo e Parlamento, studiata la questione hanno ritenuto necessario innalzare di due anni l’età della pensione. Misura impopolare. E infatti il popolo non ci sta, e scende in piazza. Con il massimo rispetto per il libero manifestarsi delle opinioni, dice sussiegoso il presidente Macron, i dati economici e demografici dicono che il provvedimento s’ha da fare. Ma il popolo insiste. Dinamiche diverse e fondamentalmente incompatibili corrono parallele. Il problema si è posto fin da quando, agli albori del 1789, in Francia è stato dichiarato il principio nuovo e rivoluzionario per il quale non solo il potere, tutto il potere, doveva essere nelle mani del popolo, ma anche che esso popolo era composto di individui singoli tutti eguali, non di collettività, di gruppi, organismi o corpi, come era un tempo e come forse è in natura.

 

Da lì è cominciato il percorso sempre accidentato di sistemi rappresentativi che tentano di tradurre le sommatorie di volontà individuali in volontà collettive attraverso i meccanismi delle elezioni, della formazione di assemblee e governi d’ogni tipo. In realtà, in quei primi anni rivoluzionari, alle elezioni – numerose e frequenti – non fu data grande importanza (nel 1792 a Parigi votò il dieci per cento degli aventi diritto, a proposito di astensionismo…). Il fulcro del potere era infatti altrove, nei confronti e conflitti che accompagnavano e seguivano il fatto istituzionale, di per sé astruso e poco emozionante. Ma se scarsa era la partecipazione elettorale, dalla Bastiglia in poi – che, guarda caso, è festa nazionale della repubblica parlamentare - massima era l’adesione a proteste, ribellioni, insorgenze, perché, si disse, “Il corpo elettorale designa, ma il popolo veglia”.

 

 L’insanabile conflitto tra il principio universalistico-individualistico e i meccanismi del potere da allora non si è mai placato. C’è voluto almeno un secolo perché il suffragio universale, molto teoricamente dichiarato nella Rivoluzione si affermasse ovunque come componente della rappresentanza politica. Al giorno d’oggi, laddove si vota, si vota a suffragio universale. E ovunque, chiamati a mediare tra l’astratto universalismo e gli ordinamenti reali della società sono associazioni varie, partiti e sindacati, che organizzano il sociale, filtrano, selezionano, addestrano, candidano. Non a caso, agli albori della Rivoluzione partiti e candidature erano vietati, perché la loro natura e funzione troppo rischiava di reintrodurre le stratificazioni, vuoi aristocratiche vuoi meritocratiche o censitarie che l’egualitarismo intendeva bandire. Ma come si poteva pretendere che i tanti individui-popolo esprimessero una loro volontà corale, comunitaria, se non organizzandosi? Niente da fare dunque, fin da allora, alla fine del Settecento in Francia operavano i clubs, veri e propri protopartiti, in primis i giacobini, poi i girondini, i foglianti…

 

Ma il destino vuole che anche i partiti soggiacciano alle sirene dell’appello al popolo. Lo si è visto di recente in Italia, paese creativo, dove la scelta del segretario di un partito decisa dagli iscritti di quel partito (e da chi se no?) è poi stata affidata ad una occasionale platea di cittadini che l’ha bellamente rovesciata. Il fatto è che i partiti, strutture portanti della democrazia, fin dall’inizio hanno goduto di pessima stampa, sono state spesso avversate, circondate di ogni disprezzo, anche se non bandite per legge. Da qualche decennio, lo chiamiamo populismo, ma il fatto è sempre il medesimo: cominciò Napoleone il grande a fare appello al popolo contro la politica, e l’esperimento fu ripetuto da Napoleone il piccolo, a metà Ottocento. È questo il doppio binario che regge le democrazie moderne: anche i più sperimentati meccanismi rappresentativi possono incagliarsi negli scogli dell’appello al popolo. Perfino il Regno Unito, che a differenza della Francia mai ha coltivato l’ideale universalistico-egualitario, ha inciampato con la Brexit su quello scoglio: il conservatore Cameron pensava di dare sostanza simbolica e plebiscitaria alla sua scelta politica, e il popolo l’ha affondato. Ora vediamo che succede in Francia.
 

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