Ha stato Soros

Oggi Trump rischia l'arresto e ha pure il rivale DeSantis a sostenere il suo playbook cospiratorio

Paola Peduzzi

L'ex presidente americano chiama i suoi sostenitori a difenderlo con ogni mezzo. L’inchiesta sui 130 mila dollari

Milano. Non so cosa voglia dire “pagare una pornostar per garantirsi il suo silenzio”, ha detto il governatore della Florida, Ron DeSantis, “su questo non posso parlare”, ma “il procuratore di Manhattan è finanziato da Soros, questo è un classico esempio di una strumentalizzazione politica del proprio ruolo”. Dopo molte pressioni, dopo che il movimento trumpiano ha detto e ripetuto: DeSantis, di’ qualcosa per difendere Donald Trump, dopo che il governatore della Florida ha sperato di cavarsela con il silenzio, ecco che invece non difende l’ex presidente americano nel merito ma sposa felice la regina delle teorie del complotto: c’è George Soros dietro al possibile arresto di Trump, sono i liberal che si appigliano a qualsiasi cosa pur di continuare la loro caccia alle streghe – alla strega, anzi: Trump. 

 

L’ex presidente ha detto che oggi potrebbe essere arrestato, ha chiesto ai suoi seguaci di scendere in piazza per difenderlo, ha chiesto ai suoi alleati di costruirgli una barriera di protezione – le forze dell’ordine, se necessario – e ieri ancora diceva che sarebbe invero una cosa vergognosa se la polizia di New York, che lo ha chiamato “uomo dell’anno”, che lo ha celebrato per anni e anni, ora ubbidisse ai cacciatori di streghe. Questa chiamata alle armi suona gelida e pericolosa, perché abbiamo già visto – il 6 gennaio del 2021 – che cosa succede quando il popolo trumpiano ascolta il suo pifferaio e fa di tutto per difenderlo: persino lo speaker della Camera, quel Kevin McCarthy che deve la propria elezione a un patto con i trumpiani del Congresso, ha cercato di minimizzare, ha detto che ci sono tanti strumenti per combattere le ingiustizie, non c’è bisogno di scendere per strada con la mimetica. Ma Trump ha creato ancora una volta, e in pochissimo tempo, le condizioni per uno scontro che può andare velocemente fuori controllo, e lo ha fatto seguendo il suo ormai noto playbook: è vittima di un accanimento politico da parte dei democratici, va difeso a qualsiasi costo.

 

L’accanimento politico oggi sarebbe guidato, secondo Trump, dal procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, un democratico di cinquant’anni che l’anno scorso creò un gran caos dentro il suo ufficio, che finì con delle dimissioni, perché pensava che non ci fossero basi solide per portare avanti le accuse contro Trump – accuse che a New York riguardano quasi esclusivamente reati finanziari, cioè l’utilizzo che l’ex presidente e la sua Trump Organization ha fatto dei soldi. Questo stesso Bragg che soltanto un anno fa fece infuriare i suoi colleghi perché sembrava troppo tenero con Trump, oggi è accusato di essere al soldo di Soros e di cercare pretesti per incastrare l’ex presidente. Nello specifico: il procuratore sostiene che nel 2016 Trump pagò, tramite l’allora suo avvocato Michael Cohen, 130 mila dollari la pornostar Stormy Daniels perché tacesse sulla loro relazione sessuale, cosa che di per sé non è un reato, ma lo diventa se quei 130 mila dollari erano fondi della campagna elettorale di Trump e non soldi suoi, come sostiene l’accusa.

 

A mettere gli investigatori su questa pista è stato lo stesso Cohen, che era l’avvocato-factotum di Trump, che andava professando la sua lealtà imperitura al suo cliente (“prendersi un proiettile al suo posto, se fosse necessario”, aveva detto), ma che poi, dopo una perquisizione di casa e ufficio decise invece di collaborare con la giustizia, e di abbandondare Trump. Erano i tempi del Russiagate, molti erano convinti che l’inchiesta sulle interferenze russe nella campagna di Trump avrebbe portato a una indicazione chiara delle responsabilità  dell’allora presidente, ma Cohen disse: politicamente non si riuscirà a scalfire Trump, ha il Partito repubblicano dalla sua parte e anche mezza America, follow the money.  E’ così che si arriva alla possibilità di un arresto dell’ex presidente – sarebbe la prima volta nella storia – ed è fin troppo facile per gli alleati di Trump evocare una caccia alle streghe: c’è un procuratore liberal, c’è un ex collaboratore che ha tradito, c’è New York che ha da espiare il suo senso di colpa di aver amato Trump prima che ambisse alla Casa Bianca, è la tempesta perfetta.

 

Il playbook è stato applicato in modo scrupoloso, la vittima dei sorosiani corre su tutte le tv trumpiane, e ora pure DeSantis, il possibile sfidante di Trump nel 2024, contribuisce al racconto della caccia alle streghe. I commentatori si interrogano sull’effetto che fa: un arresto consacrerebbe Trump come vittima assoluta dell’establishmet liberal, con tanto di piazza aizzata per l’occasione, o sancirebbe un declino politico che si è avviato nelle urne a novembre dopo il risultato deludente dei trumpiani alle elezioni di metà mandato? La risposta non c’è, ma  porsi la questione mostra che la minaccia vittimistica di Trump ha già attecchito.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi