Carlo, ti presento Harry. Nella guerra dei Sussex la trama non c'è
Voler dire tutto e non avere niente da dire
La serie "La mia vita e i miei amori" è un po' poco per un'autofiction. I reali inglesi sono sopravvissuti alle intercettazioni di Carlo e Camilla, alle interviste di Diana. Ce la faranno anche questa volta
Mai proporsi di dire tutto, si scopre che non hai niente da dire. E’ il caso di Harry Windsor. Una pista giovanile di cocaina, una banale lite con il fratellone, non abbastanza rispettoso dell’onore della cognata, incomprensioni con il padre, spiritoso, che ti chiede di chi sei figlio. Tutto qui? Sì, tutto qui. Un cadetto è un cadetto. La moglie del cadetto è cadetta. Non era meglio praticare l’asse dinastico e gerarchico senza tante storie oppure recuperare, eventualmente, la libertà dagli impegni redditizi e gravosi della monarchia britannica e vivere tranquilli una vita glamour americana, dedicarsi a altro che non le memorie della sfiga?
Harry è simpatico, da ragazzo rimase orfano di una donna controversa, assai banale, ma molto popolare. Un trauma. Ma anche un fatto collettivo, tra storia e romance. Ha fatto il soldato, pare con valore, in quell’inferno che fu l’Afghanistan (ora paradiso dei talebani). Si è innamorato di Meghan, impertinente fanciulla e volitiva, ma dovrebbe sapere che les amours des autres sont abominables, sopra tutto se raccontati con insistita dedizione e senza malizia autoironica. Dell’autofiction si può pensare, intesa come vizio d’epoca, tutto il male che ne pensa Mariarosa Mancuso, e anche di più, resta il valore documentario di cose che abbiano un senso e un aspetto curioso, che titillano l’istinto al gossip, che eccitano il morboso che è in noi. La disdetta del minore non costituisce un interesse maggiore.
Non si sa se Carlo III, felicemente regnante con la sua vecchia amante e nuova moglie, vice anglais dal multimaritato Enrico VIII, inviterà il figlio alla cerimonia dell’incoronazione, e con il libro “Spare” ora non si sa se, invitato, nel caso, il figlio accetterebbe di presenziare. Non è un po’ poco per la serie la mia vita e i miei amori? Famiglie disfunzionali di grido se ne conoscono, ma i reali inglesi finora sono sopravvissuti alle intercettazioni di Carlo e Camilla, con i risvolti pop e vagamente osceni che si rammentano, alle interviste di Diana Spencer, alle trame presunte dei nemici di lei e di Dodi Al Fayed, all’incidente stradale mortale che ha addolorato i popoli e qualche giornalista di sinistra (“Scusaci principessa” titolò il giornale fondato da Gramsci), che volete che siano le fregole di un principino degradato a duca di Sussex?
Il grande Tudor ebbe vescovi e segretari come il Lord custode del sigillo privato Thomas Cromwell, il fior fiore del machiavellismo, un teppista divenuto aristocratico prima che gli tagliassero il capo, questi non godono di collaborazioni altrettanto maestose e plebee, ma alla fine lo staff di Buckingham Palace ce la può fare a orientare la tempesta con la prua contro le onde, lo sanno tutti, e lo dovrebbero sapere anche i Sussex. Dopo i funerali di Elisabetta II bisognerebbe fare più attenzione alle forme. Gli eroi di Netflix hanno lo spazio del fumetto, al massimo, e si chiude davanti a loro l’ampia distesa di simboli e allegorie che fa di una monarchia una cosa abbastanza seria, nonostante i monarchi e gli eredi al trono. Questa storia da “Carlo, ti presento Harry”, uno che ti rivorrebbe indietro e per questo ti sputazza in faccia, semplicemente non regge.
L'editoriale dell'elefantino