Dove è finito l'Orbán di una volta? Ragionevoli dubbi

David Carretta

I fondi Ue e il rapporto con Visegrád, alle origini della rapida conversione del premier ungherese

Bruxelles. Che cosa è successo a Viktor Orbán? Da alcuni giorni il premier ungherese dà l’impressione di aver cambiato campo sulla guerra della Russia contro l’Ucraina. Orbán non tuona più contro le sanzioni di Bruxelles che sarebbero all’origine di tutti i guai economici ed energetici dell’Europa. Il suo ambasciatore presso l’Ue non ha messo il veto al price cap sul petrolio, malgrado la minaccia di Mosca di un taglio del greggio a chi lo sostiene. Sabato Orbán ha denunciato una “chiara aggressione” da parte della Russia e ha spiegato che “abbiamo bisogno di un’Ucraina sovrana” per contenere la minaccia russa. Lo stesso giorno, la  presidente dell’Ungheria, Katalin Novák, era a Kyiv per incontrare Volodymyr Zlensky. Venerdì Orbán ha anche rassicurato che l’Ungheria “sostiene” l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, nonostante i dubbi per il ritardo nella ratifica (è il solo paese con la Turchia a non aver ancora formalizzato la decisione).

 

Le ragioni dell’apparente conversione di Orbán sono sostanzialmente due: oltre 13 miliardi di euro di fondi dell’Ue e i rapporti con il gruppo di Visegrád. L’Ungheria ha seriamente rischiato di perdere il 70 per cento dei 5,8 miliardi che le erano state attribuite dal Recovery fund. Per non vedersi tagliare i fondi, è imperativo che il Piano nazionale di ripresa e resilienza sia approvato entro fine 2022. Dopo un lungo braccio di ferro sullo stato di diritto e l’indipendenza della giustizia, la Commissione ha  dato il via libera ieri. Gli esborsi del Recovery non ci saranno – e 7,5 miliardi dei fondi della coesione rimarranno congelati – fino a quando l’Ungheria non avrà rispettato 27 “super milestone”, che riguardano la corruzione, gli appalti pubblici, i conflitti di interessi e l’indipendenza della giustizia. Ma, nel pieno di una crisi valutaria con fiorino ai minimi nonostante diversi interventi della banca centrale, la cosa importante per Orbán era non perdere definitivamente i finanziamenti dell’Ue. L’Ecofin dovrebbe confermare la decisione sul via libera al Pnrr ungherese il 6 dicembre (potrebbe slittare al 12). Gli altri stati membri sperano che, con l’occasione, Orbán tolga il veto su altri due provvedimenti che tiene in ostaggio: la direttiva sulla tassazione minima delle multinazionali e il pacchetto di aiuti da 18 miliardi per Kyiv nel 2023. 

 

L’Ucraina è una priorità assoluta per gli altri 3 paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia). Il V4 è sempre stato uno strumento per Orbán per esercitare la sua influenza e proteggersi dentro l’Ue. Ma dall’invasione della Russia si è ritrovato isolato. Diverse riunioni del V4 sono state annullate per le posizioni filorusse dell’Ungheria. La Polonia alla fine ha confermato un vertice del V4 a livello di primi ministeri venerdì. Deve essere stata un’occasione per richiamare duramente il premier ungherese: da sabato i toni di Orbán su Russia e Ucraina sono cambiati. Ma manca ancora la prova dei fatti. L’Ungheria ha impedito la partecipazione del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, alla riunione della Nato a Bucarest di questa settimana (è stata organizzata una cena informale). Il veto ungherese sui 18 miliardi dell’Ue per l’Ucraina non è ancora stato tolto.