L'intervista

L'equivicinanza tra Russia e Ucraina è “un'idiozia”, dice il prof. Parsi

Paola Peduzzi

“Se provi la stessa empatia, lo stesso cinismo verso le due parti, è pura ipocrisia che urta la decenza”, spiega il docente della Cattolica. Lasciare che Putin vinca non è un’opzione, nell’anello delle democrazie “ci sarà anche l’Ucraina”

Se il sostegno americano all’Ucraina si sfilaccia, le conseguenze possono essere “devastanti”, visto che gli Stati Uniti contribuiscono circa all’80 per cento al sostegno di Kyiv. Ma in gioco non c’è soltanto – e sarebbe comunque già abbastanza – la sopravvivenza degli ucraini bensì “il tessuto democratico” che tiene insieme l’occidente e “che ha fatto sì che i paesi europei smettessero di farsi la guerra e investissero sulla pace”. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica e direttore dell’Aseri da dieci anni, ha il tono calmo e deciso che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi di guerra ascoltandolo combattivo nei dibattiti televisivi e che si ritrova nel saggio “Il posto della guerra” (Bompiani), da oggi in libreria. La libertà costa, dice, ma l’alternativa è la vittoria di Vladimir Putin e il disfacimento del nostro occidente, se non combattiamo per questo, per che cosa? “Il pacifismo sostiene un’idiozia sesquipedale quando dice: ‘Non siamo equidistanti siamo equivicini’”, dice il professore, premettendo: “Voglio dire una cosa brutale”.  “Lo scandalo non sta in vicino-distante – dice Parsi – ma in ‘equi’, nell’equivalenza: se provi la stessa empatia, lo stesso cinismo verso le due parti, è ugualmente pura ipocrisia  che urta la decenza”. 

 

Gli chiedo se questa sua brutale chiarezza gli stia causando qualche problema con il mondo cattolico, visto che siamo seduti in un ufficio di una splendida sede dell’Università Cattolica: risponde di no, e ricomincia con la sua analisi che ha a che fare non soltanto con il rifiuto dell’equidistanza tra russi e ucraini, tra aggressori e aggrediti. “Le democrazie e le autocrazie non si equivalgono”, e questa non è teoria geopolitica, “proviamo a immaginare come sarebbe il nostro mondo se Putin vincesse la guerra in Ucraina, se gliela facessimo vincere: tutti i princìpi che sono stati costruiti con fatica nel Dopoguerra, tutte le istituzioni che sono state create diventerebbero meno credibili. C’è un rapporto stretto fra la tenuta della democrazia a livello nazionale e la tenuta delle istituzioni democratiche: la cultura sottostante al tessuto che abbiamo con fatica realizzato è coerente con i nostri princìpi”.

 

Penso al fatto che ci sono sempre più americani che credono alle cospirazioni di Donald Trump e considerano Joe Biden un impostore, e mi sembra che questo tessuto si stia rompendo proprio dove pareva più solido, ma il professor Parsi non lascia spazio alla disperazione. “Se la Russia prevale, costruirà un sistema, probabilmente assieme alla Cina, basato su altri princìpi. A chi fa fatica a capirlo, posso ricordare il Congresso di Vienna e la Santa alleanza, cioè istituzioni internazionali costruite sul principio del legittimismo, dell’alleanza fra trono e altare e della reazione. Non ci vuole molto a capire che qualunque potenza leader modella il sistema globale a propria immagine e somiglianza, perché così lo conosce, lo governa e soprattutto così il suo sistema diventa il canone di riferimento a livello internazionale”. Se le autocrazie impongono la legge della forza, insomma, crolla l’ordine liberale, se è l’ordine della legge. E non si ritorna nemmeno alla Guerra fredda, perché “allora c’erano due sistemi di potere contrapposti, ma le istituzioni internazionali erano modellate sulle democrazie e l’Urss non cercava di farle saltare per aria come sta facendo la Russia oggi”. Se le Nazioni Unite “vengono retrocesse a un’assemblea condominiale di stati, il mondo farebbe un grande passo indietro”, dice il professor Parsi che di nuovo non cede al catastrofismo: soppiantare il tessuto connettivo delle democrazie non è facile, “le autocrazie dovrebbero creare non soltanto nuove istituzioni e un nuovo sistema politico, ma anche un nuovo sistema economico di riferimento, e questo non va nell’interesse di nessuno, certo non delle autocrazie stesse, ma nemmeno dei paesi emergenti”. Porta l’esempio della Cina, l’altra grande autocrazia alla quale prendiamo faticosamente le misure, che vuole minare la centralità dell’occidente, “ma non vuole disfare il sistema, semmai vuole sostituire gli Stati Uniti, ma non vuole costruire un mondo senza America ed Europa, i suoi mercati principali”. 

 

Il mondo più equo che stiamo cercando di costruire dopo l’aggressione russa all’Ucraina è una convivenza tra democrazie e autocrazie, dove le seconde sono tenute al rispetto delle regole internazionali. E se non le rispettano? In “Il posto della guerra”, Parsi dice che dobbiamo dotarci di nuovi strumenti per gestire “l’èra della divergenza”, dopo tanti anni in cui invece i sistemi convergevano, ma non dobbiamo essere spaventati: utilizza una metafora marina, come spesso gli accade, le barche sopravvivono alle tempeste, anche le democrazie lo faranno, non perché siano inevitabili, ma perché “hanno dimostrato di essere in grado di mantenere la pace”, ed è questo quello che Putin, signore della guerra, non ci perdona. Sono necessari degli aggiustamenti, “dobbiamo diversificare l’approvvigionamento delle materie prime, dovremo accettare tassi di profitto più bassi, dovremo capire che la formula salari bassi-prezzi bassi non regge più quando le catene economiche si accorciano e, sulla scorta di un nuovo patto sociale, questo ci porterà a investire sui mercati nazionali, a farli ritornare strategici, perché più sicuri  e coerenti con i nostri valori”. Il nuovo mondo è tenuto insieme dal ring of friends, l’alleanza degli amici della democrazia, in cui “la tensione umana verso la libertà, inalienabile” trova il suo compimento. “Ci sarà anche l’Ucraina in questo anello”, dice Parsi con la sua convinzione calma che annulla ogni cosa, il cinismo dei realisti, il dibattito sterile sulla resa, l’equidistanza o l’equivicinanza, persino le menzogne degli autocrati, perché “la via della pace passa per la democrazia, e non viceversa”. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi