Il caso del Pireo è una buona lezione su come fare affari con i cinesi
Dal 2009 lo scalo ellenico è gestico dalla Cosco, che man mano ha aumentato le proprie quote. Adesso però le autorità locali, che ci hanno nel frattempo guadagnato, imputano alla società cinese di non aver fatto gli investimenti che gli spettavano
No pasaran. Adolfo Urso è stato categorico: “Non consegneremo mai ai cinesi il porto di Trieste”, ha dichiarato il ministro per le imprese e il made in Italy. Tranquilli, non succederà, ha spiegato ieri alla radio Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità portuale di Trieste e capo dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale. Intanto, bisogna ricordare che Cosco, il gruppo cinese di spedizioni e logistica, non entra nella compagnia tedesca Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), ma prende il 24,9% di uno dei quattro terminal del porto amburghese. A sua volta la HHLA non è azionista del porto triestino, ma ha acquistato il 51% di uno dei terminal e ha già subito il golden power, nonostante sia un’impresa europea. Dunque, molto rumore per nulla?
La vera grana di Cinitaly sta già sul tavolo dei ministri e riguarda la State Grid Corporation che fa capo al governo di Pechino, ma possiede il 35% di Cdp Reti che controlla Snam e Terna. Insomma il gas e le linee elettriche, infrastrutture altamente strategiche. Il dilemma è applicare le direttive di sicurezza internazionale che vedono la Cina come nemico pubblico numero uno (è una potenza crescente mentre la Russia è calante, secondo Joe Biden) senza farsi del male economicamente. Lo stesso vale per i porti, lo dimostra quel che accade ad Atene.
I terminal per la nuova via della seta sono qui nel Mediterraneo, in particolare in Italia dopo che Giuseppe Conte a capo del governo giallo-verde, ha firmato una lettera d’intenti troppo impegnativa. Tuttavia la conclamata Belt and Road Initiative si è impantanata in Asia, in Africa e in Europa per ragioni politiche, per i costi, per il modo di gestirla da parte di Pechino (il sistema neo-imperiale ha creato forti reazioni contrarie). E oggi se ne sentono le conseguenze.
Il primo grande punto d’attracco è stato il Pireo. La scelta è maturata subito dopo il collasso finanziario della Grecia, ma mentre il porto è diventato una macchina da soldi, il progetto geopolitico si è arenato. I cinesi arrivano nel 2009 quando Atene è con l’acqua alla gola. Il Pireo non era stato gestito bene, però è uno dei pochi asset strategici. La Cosco prende in affitto i moli due e tre per 35 anni e paga 100 milioni di euro. Ma non si accontenta. Nel 2012 il governo ellenico privatizza per pagare i debiti dello stato, due anni dopo Cosco compra il 51% per 280 milioni di euro, quota che dovrebbe salire al 67%. L’escalation proprietaria s’accompagna a un vero balzo produttivo. Nel 2009 lo scalo gestiva 1,5 milioni di container, nel 2019 erano 5,6 milioni e puntava a diventare il numero uno nel Mediterraneo per le merci così come per i passeggeri. La Cosco ha investito nella prima fase 1,2 miliardi di euro e aumentato la capacità di cinque volte, secondo i dati del governo greco. La compagnia ha pagato il 3,5% del fatturato alle quattro diverse municipalità alle quali fa capo il porto, il sindaco del Pireo ha dichiarato al Financial Times di aver ricevuto tre milioni di euro l’anno. Le tensioni con i sindacati sono state assorbite dal governo il quale nel 2012 ha tagliato le paghe dei dipendenti pubblici e anche dei portuali. Il sindacato ha garantito la pace sociale in cambio della stabilità del posto, ma adesso intende colmare il gap salariale arrivato al 35-40%. Fatto sta che l’anno scorso il porto ha segnato un nuovo record con un fatturato di 154 milioni di euro e profitti per 49,2 milioni; il 25% pari a 12,4 milioni, è stato versato alle imposte. Rispetto al 2020 il terminal principale ha gestito il 13,9% in più di container e il 40% in più di auto.
Non è vero, dunque, che non sia stato un affare anche per la Grecia. Tuttavia le cose cambiano già durante la pandemia. Nell’ottobre scorso viene raggiunto un accordo in base al quale il passaggio alla Cosco dell’ulteriore 16% per arrivare al 67% delle azioni, è vincolato allo sblocco di undici investimenti. I cinesi sostengono che è colpa delle lentezze burocratiche della Grecia, i sindacati e le autorità locali replicano che dopo i fuochi d’artificio iniziali, la Cosco non ha più investito come promesso mentre ha continuato ad intascare fior di profitti. L’Unione europea vigila. Xi Jinping ha visitato il porto nel 2019 con grandi festeggiamenti, adesso non è più aria, le relazioni diplomatiche tra Grecia e Cina sono nettamente peggiorate. Il governo conservatore arrivato al potere due anni fa, ha messo le vele al vento dell’Atlantico. La casa Bianca segue da molto vicino gli sviluppi. Gli Stati Uniti non hanno alcun potere sul Pireo, però hanno assicurato importanti investimenti nei porti settentrionali e nel 5G sottratto alle compagnie cinesi. Dalla guerra dei moli alla guerra tecnologica il passo è breve.
l'editoriale dell'elefantino