L'intervista

Perché è urgente costruire un museo del fascismo

Mauro Zanon

Il Ventennio va raccontato respingendo la cancel culture e la becera nostalgia. Il direttore dell’Istituto italiano di cultura a Parigi approva la proposta lanciata giovedì da Giuliano Ferrara su questo giornale

Parigi. E’ urgente costruire un museo del fascismo perché noi italiani non abbiamo mai rielaborato la questione. Il museo del fascismo servirebbe per capire cos’è veramente successo in quel ventennio. E’ stata una dittatura sanguinaria che ha portato il paese alla rovina, ma è proprio quando si conosce il male, il pericolo, che ci si difende e si è vaccinati contro di esso”. Diego Marani, attuale direttore dell’Istituto italiano di cultura a Parigi, approva la proposta lanciata giovedì da Giuliano Ferrara su questo giornale: quella di creare un luogo museale che mostri come si è arrivati al fascismo, “l’intrico delle compromissioni e delle resistenze, delle viltà e del coraggio, delle cose realizzate e di quelle rinviate al XXI secolo (…) per capire, registrare, per documentare con i potenti mezzi dell’epoca digitale e l’ostensione critica di ciò che ci ha unito e ci unisce (purtroppo), ci ha diviso e ci divide (per fortuna)”.

 

“Un museo sul fascismo ci permetterebbe anche di comprendere cosa ha spinto gli italiani a scegliere e volere l’uomo forte, quali erano le grandi questioni del momento”, dice al Foglio Diego Marani, prima di aggiungere: “Nel fascismo sono stati risucchiati, quantomeno all’inizio, personaggi di tutto rispetto. Nella Gioventù italiana del littorio c’era il fior fiore degli intellettuali dell’epoca, poi ovviamente si resero conto di cosa fosse il fascismo con le leggi razziali, ne sono usciti e alcuni di loro sono diventati partigiani”. Il fascismo va raccontato tutto, nella sua complessità, nelle sue innumerevoli sfaccettature, respingendo le insopportabili isterie della cancel culture e allo stesso tempo le becere nostalgie del ventennio. “E’ innegabile che il fascismo sia stato anche un periodo di rinnovamento della società italiana e del paese. E’ giusto il senso di vergogna per quello che è accaduto, ma il fascismo è stata la nostra storia, siamo stati noi, non possiamo negarlo, liquidarlo. Il nostro paesaggio è disseminato di testimonianze architettoniche di grande valore risalenti a quel tempo, non sono monumenti spuntati dal nulla: bisogna saperli spiegare, raccontare, non cancellarli.

 

Proprio grazie a una conoscenza del fenomeno, si può controbattere a chi si dice nostalgico di quell’epoca, a quelli che ‘il fascismo ha fatto anche cose buone’”, spiega al Foglio Marani. A Tresigallo, città di (ri)fondazione concepita dall’anarco-sindacalista e in seguito ministro dell’Agricoltura fascista Edmondo Rossoni, Marani, tresigallese, ha dedicato di recente una mostra nell’Istituto che dirige, intitolata “La pietra l’idea”, dove ha messo in relazione il comune in provincia di Ferrara con altre capitali dell’architettura razionalista italiana come Latina e Asmara. Marani vorrebbe esportare la mostra anche in Italia, alla Venice International University sull’Isola di San Servolo e al Circolo degli Esteri di Roma (entrambe le sedi hanno già dato la loro disponibilità), ma si sta scontrando con la resistenza della giunta comunale di Tresigallo. “Ho donato al comune tresigallese tutto il materiale della mostra: il racconto, i cataloghi, i testi, ma sono recalcitranti perché hanno paura di essere accusati di celebrare il fascismo, di voler dare al ventennio un’aura di accettabilità”, dice al Foglio Marani.

 

“La storia di Rossoni, all’origine di Tresigallo, non può non essere raccontata. La sua opera è stata chiaramente una forzatura, perché ha espropriato le terre e fatto cose assolutamente illegittime per costruire la città. Questo va raccontato, ma va raccontato anche che Rossoni era un anarco-sindacalista che aveva lottato con i braccianti per ottenere paghe migliori, era un uomo che veniva dal popolo e che poi si è fatto sedurre dal regime fascista, diventando un importante ministro. Se non raccontiamo queste storie del fascismo continueremo a non capirlo e ad alimentare in questo modo la terribile moda della cancel culture. Quando si cancella qualcosa che esiste, che fa parte della tua storia, è un doppio danno: perché nascondi qualcosa che rimarrà sempre e comunque in te e da qualche parte poi riaffiorerà, e impedisci alla società di comprendere il fenomeno, di tutelarsi e capire come quell’Italia è arrivata al fascismo e in che modo quella attuale può proteggersi”.

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