I repubblicani americani non sono più compatti nel sostegno a Kyiv, proprio come vuole Putin

Paola Peduzzi

Se il Partito repubblicano dovesse vincere alle elezioni di midterm, l’aiuto all'Ucraina non sarà più garantito. La sterzata del Gop

Milano. Vladimir Putin introduce la legge marziale nelle regioni ucraine annesse illegalmente alla Federazione russa e guarda che cosa accade in America. L’8 novembre ci sono le elezioni di metà mandato, con il rinnovo del Congresso americano, e stanno accadendo due cose: la prima è che le possibilità di vittoria del Partito repubblicano in entrambe le camere aumentano; la seconda è che l’unità dei repubblicani a sostegno dell’Amministrazione Biden nella sua politica di aiuti militari e finanziari all’Ucraina s’è spezzata. Il leader dei repubblicani alla Camera, il deputato della California Kevin McCarthy, ha detto: “Penso che gli americani dovranno affrontare una recessione e non avranno più intenzione di firmare assegni in bianco all’Ucraina. Non vorranno farlo, non è un assegno gratuito”. Ha ribadito poi il concetto di “assegno in bianco”: “L’Ucraina è importante, ma non può essere l’unica cosa di cui ci occupiamo, e di certo non deve essere un assegno in bianco”. Secondo il leader dei repubblicani alla Camera, che ambisce a diventare lo speaker se il suo partito avrà la maggioranza, l’elargizione di altri fondi a Kyiv sarà molto più complicata, questo è quello che i  candidati repubblicani alle elezioni hanno fatto ben presente al partito. 

 

Il mese scorso, il Congresso ha approvato circa 12,3 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina, sia militari sia per garantire i servizi di base dei cittadini ucraini. Quest’ultimo pacchetto si aggiunge ai circa 50 miliardi di dollari stanziati finora. Venerdì scorso, l’Amministrazione Biden ha annunciato che 725 milioni di dollari saranno destinati a Kyiv: si tratta di aiuti militari, munizioni per gli Himars, armi anticarro e Humvees. Il sostegno al governo di Kyiv è sempre stato bipartisan sia alla Camera sia al Senato. Il leader dei repubblicani al Senato,  Mitch McConnell, non ha finora messo in dubbio l’urgenza e la necessità di questi aiuti. Una piccola opposizione c’è sempre stata. Nella primavera scorsa, quando si decise di stanziare 40 miliardi di dollari di aiuti, una sessantina di deputati e undici senatori repubblicani si erano opposti, dicendo: dobbiamo controllare meglio come vengono spesi questi fondi. Michael McCaul, deputato repubblicano del Texas dentro la commissione Affari esteri, ha detto che questa supervisione sarà più rigida se il suo partito dovesse diventare maggioranza alla Camera. 

 

Non è soltanto una questione di numeri: conta chi saranno i prossimi deputati e senatori repubblicani che prenderanno l’incarico dal gennaio del 2023. Se saranno diretta emanazione del movimento “Make America Great Again”, cioè trumpiani, la compattezza sul sostegno all’Ucraina è compromessa, e la scommessa putiniana sulla stanchezza occidentale nei confronti della guerra sarà in parte vinta. Il Partito repubblicano non è riuscito a risolvere la crisi identitaria causata dalla presidenza di Donald Trump e questo sta avendo un impatto evidente sulla selezione dei candidati alle elezioni di midterm e quindi sulla prossima classe dirigente dei conservatori americani. Non si tratta di una questione interna ai repubblicani e di un regolamento di conti che tarda ad arrivare: la commissione che indaga sull’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021 mostra che è molto flebile la volontà politica di risolvere il conflitto interno, tanto che Trump ha avuto molti margini di manovra nella selezione dei candidati alle primarie repubblicane che hanno definito l’assetto per il voto dell’8 novembre. Ha vinto e ha perso, Trump, non ci sono soltanto trumpiani in corsa, ma ci sono e possono vincere e possono condizionare i lavori del Congresso nei prossimi due anni. Se poi uno come McCarthy, massimo esponente del progetto fallito dei repubblicani di costruire un post trumpismo senza residui cospiratori  (basterebbe che non ci fossero più repubblicani candidati a qualsiasi carica che pensano che Joe Biden ha rubato le elezioni del 2020 ed è un impostore), è già ora pronto a mettere in discussione “l’assegno in bianco” all’Ucraina, la forza dell’eventuale maggioranza repubblicana è ancora più solida.

 

Anche perché non ci sono soltanto Donald Trump Jr che dice che prima di aiutare l’Ucraina bisogna ricostruire la Florida colpita dal tornado, o il tweet poi cancellato della Cpac, la conferenza in cui Viktor Orbán è sempre ospite d’onore,  che diceva di smetterla con  “i regali” all’Ucraina, o l’anchorman di Fox News Tucker Carlson che ogni giorno ribadisce quanto è costoso e inopportuno difendersi da Putin. Ci sono sempre più repubblicani che, partendo da questioni economiche, attaccano Biden perché pensa più agli ucraini che agli americani. I democratici stanno pensando di introdurre un’ulteriore legge di aiuti a Kyiv entro Natale, prima che si insedi un Congresso che potrebbere rendere controverso persino l’aiuto a un paese aggredito da una forza straniera e brutale.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi