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Il contenimento del trumpismo è fallito. I candidati a mid-term sono molto estremi

Giulio Silvano

Anche dopo aver perso, il potere dell'ex presidente continua a esser quello di piegare il sistema. Il potenziale eversivo di questa destra populista era stato sottovalutato

Quando Donald J. Trump, protagonista del reality di “The Apprentice”, si è candidato alle primarie repubblicane, ridevano tutti. Quando ha vinto alcuni hanno iniziato a preoccuparsi. Quando ha battuto Hillary Clinton ormai era troppo tardi per capire come fosse stato possibile ignorarne la forza. Ma passato il momento in cui le star volevano emigrare in Canada, l’antifona che tranquillizzava molti era: da una parte il Partito repubblicano e dall’altra la democrazia americana avrebbero arginato gli eccessi del presidente. Quattro anni dopo, gruppi di rivoltosi, con corna e bandiere confederate, assalivano il Congresso, minacciavano i deputati  deputati, dicevano voler impiccare il vicepresidente (repubblicano). Trump, invece di farsi sottomettere dalla struttura democratica, ha cercato di piegare il sistema, ignorando prima le prassi istituzionali poi direttamente il risultato delle elezioni. Invece di essere domato dal suo partito, se l’è mangiato. 


Ciò che resta dell’establishment repubblicano è stato in parte sconfitto durante le primarie che si sono tenute in questi ultimi mesi, in vista delle elezioni di metà mandato di novembre. In queste elezioni che rinnoveranno in parte il Congresso, i governatori e altre posizioni federali, Trump si è speso molto per cementare questa sostituzione all’interno del Partito repubblicano in chiave nazionalista e antidemocratica. I suoi nemici del partito, come quelli che hanno osato firmare per l’impeachment – con l’eccezione dei deputati Dan Newhouse e David Valadao – o sono stati sconfitti o si sono ritirati per evitare di perdere. Il caso più eclatante è la vendetta contro Liz Cheney in Wyoming. La fedeltà totale a Trump, anche nel sostenere che le elezioni del 2020 siano state rubate dai democratici e che Joe Biden è un presidente illegittimo, è stata la moneta di scambio per ricevere l’endorsement di Trump e spesso poi la vittoria alle primarie. Accettare la Big Lie è diventato per molti il biglietto per novembre, per una nuova classe dirigente repubblicana scelta da Trump. 


Continua a esserci una resistenza dell’establishment repubblicano in alcuni stati, come l’Idaho, la Carolina del nord e la Georgia, dove i candidati trumpiani sono stati sconfitti. Ma in stati importanti come l’Arizona l’energia populista sta facendo preoccupare le vecchie guardie del partito. La candidata governatrice, ex presentatrice televisiva Kari Lake, ha battuto Karrin Taylor Robson, repubblicana tradizionale. In un’intervista al programma radiofonico “The Conservative Circus”, alla domanda: “Accetterebbe una sconfitta contro la candidata democratica Katie Hobbs?”, Kari Lake ha risposto: “Non perderò contro Katie Hobbs”, continuando il trend della Big Lie. 


Non sono soltanto i candidati più in vista a preoccupare – Mark Finchem, per esempio, ha vinto le primarie per il posto segretario di stato dell’Arizona, una posizione centrale perché il suo ruolo sarebbe poi quello di monitorare il corretto funzionamento delle elezioni e vigilare sui risultati. Finchmen è stato affiliato alla milizia antigovernativa Oath Keepers, gruppo radicale che dichiara di voler difendere la Costituzione, e almeno una ventina di suoi membri sono stati denunciati per aver partecipato all’attacco al Campidoglio del 6 gennaio. Nelle settimane precedenti si erano messi in contatto con il gruppo dei ProudBoys, dichiarando di poter aiutare con la loro milizia in caso di guerriglia. Finchmen ha fatto capire, in perfetto  spirito Maga, che se perderà non pensa che riconoscerà la sconfitta. E ha più volte detto che se avesse avuto quel ruolo nel 2020 Trump non avrebbe perso le elezioni; tra i suoi obiettivi, se venisse eletto, c’è quello di fare in modo che lo stato abbia l’autorità di capovolgere l’esito del voto. 


Non solo senatori e deputati quindi, ma c’è in bilico tutto un apparato a livello dei singoli stati che se trumpizzato potrebbe cambiare la struttura democratica, e questo complicherebbe molte cose, oltre ai calcoli nel 2024. Nel suo discorso all’inizio di settembre, Joe Biden ha detto: “La democrazia non può sopravvivere quando una delle due parti crede che ci siano solo due esiti alle elezioni: o vincono loro o sono stati raggirati”. Il potere di Trump, anche dopo aver perso, continua a esser quello di piegare il sistema e il rapporto tra cittadino e istituzione. Il potenziale eversivo di questa destra populista era stato sottovalutato, anche quando si sono iniziate a vedere le prime avvisaglie, ma sono bastati pochi anni, di cui solo quattro alla Casa Bianca, perché gli argini democratici venissero minacciati, e un po’ distrutti.

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