Jean-Luc Mélenchon (Ansa)

Gauche scandalosa

La furia delle femministe contro Mélenchon che difende il suo delfino schiaffeggiatore

Mauro Zanon

Il sostegno dato ad Adrien Quatennens, che ha ammesso di aver schiaffeggiato la moglie, fa arrabbiare la sinistra francese. E la presenza di altri casi di violenza nel partito possono portare a una sostituzione del leader della France insoumise

Parigi. Due mesi fa, erano sicuri di imporre la cohabitation al presidente uscente Emmanuel Macron, erano forti del loro risultato alle elezioni presidenziali e della grande coalizione delle sinistre, la Nupes, che erano riusciti a costruire per presentarsi compatti alle legislative. Oggi, invece, sono a rischio esplosione, dopo un’ondata di scandali che ha coinvolto i generali del partito, il cerchio magico del líder maximo, il giacobino filoputiniano che in caso di conquista dell’Eliseo avrebbe portato la Francia dentro l’Alleanza bolivariana: Jean-Luc Mélenchon.

 

La France insoumise (Lfi), la formazione della sinistra radicale francese, e i suoi esponenti, sono fragili, vittime di un Metoo tutto interno al partito che sta azzoppando uno dopo l’altro i leader, a partire dal delfino di Mélenchon, il 32enne Adrien Quatennens. L’articolo del Canard enchaîné del 14 settembre, che ha dato notizia della denuncia per “violenze domestiche” depositata dalla moglie Céline Quatennens ai danni del marito Adrien, è stato un colpo durissimo per Lfi.

 

Anche perché non è il primo caso di violenze. Taha Bouhafs, giovane reporter molto popolare sui social che a maggio si era candidato con Lfi alle legislative, ha dovuto rinunciare in seguito a quattro accuse di stupro arrivate alla cellula interna del partito che raccoglie le segnalazioni di violenze sessuali e sessiste. Il 13 luglio, ai danni di Éric Coquerel, altro capataz di Lfi e mélenchonista di ferro, la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta per “molestie e aggressioni sessuali”, in seguito alla denuncia di una militante, Sophie Tissier, e di altre donne. Thomas Portes, infine, fedelissimo di Mélenchon, è oggetto di una segnalazione da luglio per violenze sessuali e sessiste. C’è chi parla di “cose che sapevano tutti”, ma che non si potevano far uscire per proteggere la candidatura di Mélenchon. “I dirigenti della France insoumise sono sottomessi al capo, che a sua volta li protegge”, ha dichiarato in forma anonima a Libération un esponente del Partito socialista. 

 

Quatennens, che ha ammesso di aver “dato uno schiaffo” alla moglie con cui è in istanza di divorzio, si è ritirato dal ruolo di coordinatore della France insoumise, ma non ha ancora rinunciato al suo posto di deputato all’Assemblea nazionale. Probabilmente lo farà nei prossimi giorni, ma ciò non basterà a placare la rabbia delle femministe del partito. Clémentine Autain, Mathilde Panot, Manon Aubry, Pascale Martin, nessuna è ancora riuscita a digerire il tweet protettivo di Mélenchon, che ha salutato “la dignità” e “il coraggio” dello scudiero Quatennens e denunciato il “voyeurismo mediatico”, senza una parola per Céline, la vittima delle violenze.

 

“Sono reazioni tanto più insopportabili perché siamo un movimento che ha posto la lotta contro le violenze sessuali e sessiste al centro del suo programma”, ha tuonato la deputata Pascale Martin. Anche Libération, il quotidiano della gauche progressista, che più di tutti aveva creduto nella Nupes, è molto arrabbiato con la France insoumise, si è sentito tradito su temi cardine della sinistra come la lotta alla violenza contro le donne, il femminismo, l’uguaglianza di genere. “Jean-Luc Mélenchon è ancora un punto di forza per la Nuova unione popolare ecologica e sociale (Nupes), cartello politico che si è costruito sulla scia del suo quasi 22 per cento alle ultime presidenziali? Nessuno si pone ancora la questione pubblicamente, ma è già nella testa di alcuni ed è al centro di certe conversazioni discrete”, scrive Libé. Secondo il foglio della gauche, “il dopo Mélenchon non deve più essere un tabù”, il partito ha bisogno di emanciparsi dalla leadership ingombrante, e per molti dispotica, dell’ex ministro dell’Istruzione del governo Jospin. E la serie di scandali che stanno coinvolgendo il partito potrebbero essere il punto di partenza per questa rivoluzione.

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