I leader occidentali chiedono al mondo di schierarsi contro le autocrazie

Il rally democratico all'Onu

Paola Peduzzi

Le forze democratiche non sono più come nel 2014 né come il 24 febbraio grazie alla tenacia ucraina

Milano. L’Assemblea generale dell’Onu alla sua settantasettesima edizione è diventata un rally delle forze democratiche contro quelle autocratiche, anzi, è diventata il luogo in cui rispondere a una richiesta precisa: bisogna schierarsi, o con la democrazia o con i regimi, o con la cooperazione responsabile o con l’isolamento, la neutralità assomiglia troppo alla complicità. Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron (“siete favorevoli o contrari alla legge del più forte, all’impunità?”), lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi (“l’invasione dell’Ucraina vìola i valori e le regole su cui da decenni poggia la sicurezza internazionale, la convivenza civile tra paesi”), lo ha detto ieri il presidente americano Joe Biden (“se delle nazioni possono perseguire le loro ambizioni imperiali senza conseguenze, mettiamo a rischio tutto ciò che questa  istituzione rappresenta”), lo dice sempre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, lo dirà domani il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Gli alleati dell’Ucraina vogliono spiegare che la guerra scatenata “ingiustamente” da Vladimir Putin ha conseguenze per tutti e che il ribaltamento dell’ordine globale cui aspira Mosca con i suoi alleati (Putin dice di essere sotto “ricatto nucleare” dell’occidente) è un danno per tutti, non soltanto per l’Europa o l’America o, in modo più diretto e brutale, per l’Ucraina. 

 

L’assetto è già del tutto cambiato rispetto al passato. Nel 2014, quando Putin organizzò il referendum in Crimea, ci furono indignazione, non riconoscimenti e sanzioni, ma durarono poco e al fondo prevalse l’idea che gli abitanti della penisola fossero filorussi e russi, che la loro appartenenza alla Federazione russa fosse più forte e persino più naturale di quella all’Ucraina. Fu un errore che stiamo pagando oggi (come tutto: lo pagano gli ucraini), ma la lezione è stata imparata: oggi non utilizziamo nemmeno più la parola “referendum” per definire l’annessione forzosa e frettolosa che i russi vogliono imporre nelle regioni ucraine che hanno occupato. Li chiamiamo “pseudoreferendum”, “referendum fasulli”, “farsa”. 

 

L’ipotesi di riconoscerne l’esito (scontato, circolano già adesso le percentuali di vittoria dei russi) è presa in considerazione soltanto dai soliti, pochi, che sostengono Mosca perché ne sono del tutto dipendenti, come la Bielorussia o la Siria. Non è il 2014 ma non è nemmeno il 24 febbraio di quest’anno, quando cominciò l’invasione di Putin. Questa è la parte della storia più straordinaria e più dolorosa assieme, perché l’Ucraina ha dimostrato sul campo – con le migliaia di morti, subendo 34 mila atti criminali da parte della Russia, con la devastazione del paese, fisica, economica e sociale, con il terrore in casa – di essere ben diversa da quel che gli occidentali si aspettavano. Non era soltanto Putin, a febbraio, a essere convinto di potersi ingoiare l’Ucraina in pochi giorni, arrivare a Kyiv, ribaltare il presidente Zelensky e mettere un suo rappresentante: lo pensavano in molti anche in questa nostra parte di mondo. Per Putin era una convinzione strategica, per noi una paura tanto profonda che ci eravamo a lungo illusi di poter difendere i nostri confini assecondando il più possibile le  “garanzie di sicurezza” che arrivavano da Mosca.

 

L’Ucraina ha dimostrato di non essere il paese corrotto, militarmente fragile, compromesso con la Russia (si diceva che Zelensky volesse fare la pace con Mosca e accettare l’occupazione di fatto di parte dei suoi territori) che buona parte del mondo si immaginava. Ha dimostrato anche molto altro, come testimonia la sorpresa che ancora ha scatenato la controffensiva dell’esercito di Kyiv delle scorse settimane, o come testimoniano le scritte che si leggono su alcuni muri delle città liberate: “Meno guerra, più Europa”. Soprattutto come testimonia il sacrificio umano degli ucraini, i cadaveri con le mani legate dietro la schiena, le palestre adibite a camere di tortura dai russi e tutto l’orrore di cui sono capaci gli uomini di Putin. Mentre Mosca lancia la sua mobilitazione e minaccia l’utilizzo delle armi nucleari, Kyiv ricostruisce le ferrovie con gli standard europei, chiede agli alleati di non distrarsi e nessuno chiede più a Zelensky di abituarsi all’idea di dover fare concessioni. Anzi, si preparano nuove sanzioni, e forse chissà una copertura aerea.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi