Foto di Branden Camp, via LaPresse 

alternative moderate

Fascino da terzo polo. Il centro nascente delle elezioni di midterm americane

Marco Bardazzi

Negli Stati Uniti un candidato fuori dal bipolarismo non ha mai avuto fortuna, ma ora democratici e repubblicani potrebbero essere percepiti come troppo radicali e si allarga lo spazio. Il piano di No Label 

Anche in America c’è voglia di terzo polo. Il cammino di avvicinamento alle elezioni di metà mandato del prossimo novembre si sta trasformando in un laboratorio politico, dove si cominciano a sperimentare formule nuove che potrebbero vedere la luce in occasione della corsa alla Casa Bianca, nel 2024. L’esito finale potrebbe essere una candidatura “terza” che sfidi per la prima volta in modo serio quelle tradizionali di democratici e repubblicani. 
Il ragionamento dietro le varie iniziative per cercare uno spazio al centro si basa su un presupposto di fondo. Se i due partiti storici decidessero nel 2024 di presentare agli elettori la scelta secca tra due candidati troppo radicali, per esempio Donald Trump contro Bernie Sanders, si aprirebbe uno spazio politico inesplorato. Finora i pochi tentativi fatti nella storia degli Stati Uniti di rompere l’assetto bipolare democratici-repubblicani hanno avuto per protagonisti dei candidati molto più radicali di quelli dei due partiti principali. Creando alla fine al massimo qualche disturbo. 

 

Stavolta la storia sarebbe diversa: sono i due partiti organizzati a scivolare verso le estreme, lasciando disorientato e alla ricerca di alternative un elettorato moderato che alcuni analisti quantificano in 64,5 milioni di elettori. Una bella fetta dei circa 240 milioni di aventi diritto al voto. Due terzi di questo bacino elettorale, secondo le stesse stime, sarebbero elettori che hanno scelto Trump nel 2020 e non intendono fare il bis, ai quali si aggiungerebbero un 20 per cento di democratici che quello stesso anno hanno votato per Joe Biden e non se la sentirebbero di spostarsi troppo a sinistra.  

 

Ecco quindi nascere coalizioni come “No Labels”, che sta aprendo uffici, raccogliendo soldi e reclutando volontari in tutti i 50 stati per essere pronti a proporre non un terzo partito ma una “terza scelta”, se quelle di repubblicani e democratici si rivelassero poco digeribili dai moderati. Ecco il sorgere dei primi tentativi di un nuovo partito al centro, con la presentazione del progetto “Forward Party” promosso da alcuni ex membri di governo. Ed ecco infine i primi tentativi di creare coalizioni, come quella che sta cercando di portare avanti nelle elezioni di midterm il candidato democratico del New Jersey Tom Malinowsky, che ha accettato di correre anche per il neonato Moderate Party e di portare quindi alla Camera a Washington un primo esempio di appartenenza a uno schieramento più ampio del solo Partito democratico. 

 

Sono tutti tentativi, da No Labels ai due partiti Forward e Moderate, che si scontrano con un sistema elettorale che scoraggia i terzi poli assai più di quanto faccia il Rosatellum in Italia. Il meccanismo dei collegi elettorali e dei “grandi elettori” assegnati da ciascuno stato ha sempre reso la vita difficile a chiunque volesse uscire dal recinto dei due grandi partiti organizzati. 

 

A cercare una terza via nella politica americana ci hanno provato in tanti, perfino un ex presidente come Theodore Roosevelt nel tentativo (fallito) di tornare in corsa per un nuovo mandato con il Progressive party che si era inventato nel 1912. Nel 1968 provò a fare qualcosa di simile il segregazionista George Wallace con il suo American independent party, per certi versi un antesignano di quel partito nel partito che sono oggi i repubblicani versione Maga (Make America Great Again) di Trump. Con la differenza che quest’ultimi, al momento, hanno preso il controllo del Partito repubblicano e non hanno quindi bisogno di fondarne uno nuovo. 

 

L’unica candidatura terza di un qualche peso fu quella di Ross Perot, che si infilò nel mezzo della sfida del 1992 tra George H.W. Bush e Bill Clinton e riuscì a raccogliere un consenso sufficiente a farlo partecipare ai dibattiti presidenziali. Ma sia Perot sia anni dopo Ralph Nader, un eterno candidato “terzo” senza successo, hanno avuto il solo effetto di danneggiare uno dei due candidati mainstream. 

 

Una circostanza, quest’ultima, che è anche la principale preoccupazione di No Labels, fino a ora la più seria iniziativa messa in piedi per creare una  alternativa a eventuali derive populiste dei due principali partiti. Il movimento punta a garantire la governabilità, mira a valorizzare la competenza, si muove con un approccio che da noi si chiamerebbe da “agenda Draghi”. Un team di “responsabili” pronti a cercare di offrire un’altra scelta se il dopo Biden cominciasse a sembrare una totale deriva populista.

 

Non a caso a prenderli sul serio è stato finora più di tutti l’opinionista del New York Times David Brooks, una delle voci più autorevoli del mondo conservatore moderato. 
Con un budget previsto di 70 milioni di dollari (di cui 50 circa già raccolti) e operazioni già avviate in tutti gli stati, No Labels è pronto in brevissimo tempo ad attivarsi, avviare proprie primarie e poi presentare un proprio candidato e una convention, in programma in Texas nell’estate 2024. Nomi di candidati per ora non ne circolano. Il nome di spicco è quello di chi guida le operazioni: Nancy Jacobsen, la fondatrice e ceo, un’esperta di politica e attivista che ha lanciato il movimento anni fa e ora lo sta trasformando in una macchina elettorale. 

 

Tra le riflessioni che si fanno nelle riunioni di No Labels, molte riguardano il rischio di diventare un ago della bilancia. Che succede se il candidato del terzo polo non riesce a conquistare voti sufficienti per l’assegnazione dei grandi elettori, ma sottrae a uno o all’altro dei due candidati principali i voti necessari a vincere? 
Come in Italia, anche negli Stati Uniti ci si interroga già sul “voto utile” nel 2024, ma nel frattempo si guarda alle elezioni di metà mandato di novembre come a un test per capire se ci siano spazi per nuove formule e presenze politiche.

 

Il Forward Party, lanciato dall’ex candidato presidente Andrew Yang e dalla ex governatrice Christine Todd Whitman, è tagliato fuori da qualsiasi chance di essere rappresentato nel nuovo Congresso che uscirà dal voto. Ma alla Camera potrebbe affacciarsi invece il Moderate Party, se Malinowsky riuscirà non solo a farsi eleggere, ma anche a vincere una causa legale contro lo stato del New Jersey, che come molti altri vieta dal 1921 la possibilità di fare coalizioni tra partiti diversi. 

 

Malinowsky sta cercando di conquistare il diritto a essere riconosciuto come candidato ed eventualmente deputato sia democratico, sia del partito moderato. Si aprirebbe così la strada a trovare formule per allargare il perimetro dei due partiti tradizionali. Tutti esperimenti che nascono da un’esigenza diventata impellente anche negli Stati Uniti: sconfiggere, in qualche modo, il populismo dilagante.

Di più su questi argomenti: