Perché il fantasma di Gorbaciov tiene sveglio Xi Jinping

“Mio padre pensava che fosse un idiota”

Giulia Pompili

Dalla visita dell'ultimo leader sovietico a Pechino, nel 1989, all'ossessione del Partito comunista cinese per il crollo dell'Urss. L'amicizia "senza limiti" di Putin si spiega anche con la Perestrojka

“Mio padre pensava che Gorbaciov fosse un idiota”. Lo disse Deng Zhifang, il figlio del presidente cinese Deng Xiaoping, al suo biografo americano Ezra Vogel. Per molto tempo, tra gli osservatori di Mosca e Pechino, si parlò dei due modelli: quello della trasformazione con la forza delle idee, che aveva in mente l’ultimo leader dell’Unione sovietica, e la stabilità rassicurante che prometteva l’uso della forza, il modello cinese. Michail Gorbaciov visitò Pechino nel maggio del 1989, e fu un viaggio storico perché avrebbe dovuto sancire la fine delle ostilità tra le due potenze comuniste. Come Gorbaciov, Deng era la grande speranza dell’occidente: le sue riforme avrebbero dovuto portare a una progressiva apertura della Repubblica popolare cinese. Il summit sino-sovietico si svolse a metà maggio, e poco più di quindici giorni dopo la leadership di Pechino inviò i carri armati a reprimere le proteste a Piazza Tiananmen. Era lo scontro finale tra due modelli di socialismo: anche Gorbaciov pensava che Deng fosse un idiota. Secondo la narrazione russa dopo quella visita a Pechino disse: “Non voglio che la Piazza rossa si trasformi in una Piazza Tiananmen”. All’Urss non serviva un “mandato celeste”, come al Partito comunista cinese, per giustificare l’uso della forza bruta sui cittadini, e nemmeno le riforme autoritarie. Dopo decenni di ostilità, le strade di Russia e Cina si intersecano brevemente in quella primavera del 1989, e proseguirono poi su direttrici quasi opposte. Il crollo dell’Unione sovietica, da Pechino, è di fatto la dimostrazione che avesse ragione Deng su Gorbaciov, e non il contrario.

 
 Il 4 febbraio scorso, quando il presidente della Federazione russa Vladimir Putin vola in Cina, e con il leader Xi Jinping sancisce “un’amicizia senza limiti” tra i due paesi, i rapporti di forza sono ribaltati: è la Russia il junior partner, era la Cina ad avere ragione. L’ossessione di Xi Jinping, ha scritto sul Nikkei Katsuji Nakazawa, è quella di non diventare il  Gorbaciov della Cina.  Poco dopo la sua nomina a segretario generale del Partito comunista cinese, nel 2012, disse in un discorso ai suoi: “Perché l’Unione sovietica si è disintegrata? Perché il Partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è che i loro ideali e le loro convinzioni hanno vacillato. Alla fine, è bastata una parola di  Gorbaciov per farlo, e nessuno è stato uomo e si è opposto”. La caduta dell’Unione sovietica è parte integrante della preparazione di un funzionario del Partito comunista cinese, e sei mesi fa Pechino ha introdotto nel curriculum dei membri anche un documentario di quasi due ore dal titolo: “Il nichilismo storico e la disintegrazione dell’Unione sovietica”. E’ stato molto chiacchierato, quel documentario, perché la versione dei fatti è che l’Urss era un grande successo economico, ma poi arrivò  Gorbaciov con le sue politiche capitaliste che “distrussero un’economia  che aveva superato quella americana”. La propaganda ha funzionato, perché ieri, alla notizia di Gorbaciov, nei commenti online e su diversi giornali cinesi si parlava soprattutto della sua colpa imperdonabile, quella di aver fatto fallire l’Urss (durante la sua quotidiana conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri, il falco Zhao Lijian, ha detto solo: “Michail Gorbaciov ha contribuito positivamente alla normalizzazione delle relazioni tra Cina e Unione sovietica. Siamo addolorati per la sua scomparsa e porgiamo le nostre condoglianze alla sua famiglia”).
      
E’ attraverso l’ossessione di Xi, quella di non diventare il Gorbaciov della Cina, che vanno visti anche oggi i suoi tentativi di rafforzare il partito unico al comando a Pechino, la stabilità del potere oltre ogni ragionevole debolezza. Con le lenti di quella ossessione si capisce meglio perché la Cina di Xi non rinuncerà mai a Taiwan e alla “riunificazione”.  L’amicizia con Vladimir Putin è perfettamente in linea con il revisionismo storico applicato in egual modo dalla leadership in Cina e in Russia. Per Xi, Putin è un partner prezioso in una competizione globale contro la prepotenza americana, il collante del Partito e di gran parte delle relazioni diplomatiche cinesi.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.