Il freddo ucraino

Il ricordo di Gorbaciov a Kyiv è offuscato da due episodi e una convinzione

Paola Peduzzi

Da Chernobyl all’annessione della Crimea, per molti ucraini il creatore della perestrojka è "l'eterno problema della democrazia russa"

Nel 2016, l’Ucraina bandì Michail Gorbaciov: non può più venire qui “nell’interesse della sicurezza” del paese. Erano passati due anni dall’annessione della Crimea da parte della Russia di Vladimir Putin e Gorbaciov, che pure era da tempo critico nei confronti di Putin, aveva detto in un’intervista al Sunday Times che sull’annessione si sarebbe comportato come lui: “Sono sempre dalla parte della libertà dei popoli, e la maggior parte delle persone che vive in Crimea vuole riunirsi alla Russia”, aveva detto. La risposta ucraina era stata secca e immediata, sei un pericolo per noi, e oggi che Gorbaciov è morto non stupisce che l’intellettuale ucraino Volodymyr Yermolenko commenti: “Gorbaciov è l’eterno problema della democrazia russa. Il sintomo della sua incapacità di rispettare dei princìpi, il sintomo della sua natura imitativa. Gorbaciov voleva democratizzare l’Urss ma alla fine sostenne il fascismo russo. Creò la perestrojka ma represse  le proteste nell’Urss”. La conclusione di Yermolenko è brutale.

 

“La ‘democrazia’ russa è troppo vile – scrive il filosofo ucraino – Trova facilmente rifugio in un nuovo imperialismo. E sì, le idee occidentali che vengono dalla Russia si trasformano nel loro contrario”. Le proteste represse sono quelle a Tbilisi nell’aprile del 1989 (22 morti),  in Azerbaigian nel 1990 (150 morti nel “gennaio nero”), in Lituania nel 1991 (ancora a gennaio, era appena stata votata l’indipendenza, 14 morti), ed è il motivo per cui nelle ultime ore da quei paesi sono arrivate critiche all’eredità di Gorbaciov. 

 

C’è un altro episodio che rende gli ucraini così sospettosi nei confronti dell’ultimo leader sovietico, la cui mamma era ucraina – lui conosceva e a volte cantava le canzoni ucraine imparate da bambino. E’ il disastro di Chernobyl, che oggi ritorna nella memoria in modo ancora più feroce mentre aspettiamo di sapere il destino della più grande centrale nucleare del paese a Zaporizhzhia, dove continuano i bombardamenti russi e dove si attende l’arrivo della delegazione dell’Agenzia atomica dell’Onu nella speranza che possa evitare un altro, ancora più grande e devastante, disastro atomico. Quando ci fu l’incidente alla centrale di Chernobyl, il 26 aprile del 1986, Gorbaciov era il segretario generale del Partito comunista sovietico da poco più di un anno. Fu avvisato di quel che stava accadendo al reattore numero quattro la mattina stessa, ma fino a quando una delegazione di Mosca arrivò a Chernobyl due giorni dopo non fece nulla. E anche nelle ore successive, quando fu evidente che bisognava evacuare tutti i cittadini e che anzi era già drammaticamente tardi, le decisioni di Mosca furono lente. E segrete naturalmente: nessuno, né dentro all’Ucraina né nel resto del mondo, a parte i testimoni e chi già era stato esposto alle radiazioni fatali, sapeva che era in corso una catastrofe nucleare che ancora oggi è considerata la più grave della storia (soltanto quella di Fukushima nel 2011 ne ha uguagliato la gravità). Il ricordo di quel silenzio mortale è ancora vivo, fa parte dell’esperienza ucraina dell’odio russo, e rabbia e dolore non passano.

 

Gorbaciov avrebbe poi detto: “Chernobyl mi aprì gli occhi come nessun altro episodio, mostrò le conseguenze orribili del potere nucleare, anche quando non ha uno scopo militare”. Ma ha anche sempre detto che non c’era stato un insabbiamento deliberato della catastrofe, perché inizialmente nessuno aveva capito quanto grande fosse il pericolo che si stava correndo. A dimostrazione della buona fede, Gorbaciov ha raccontato: “Una delle ragioni per cui credo che non ci sia stato un inganno deliberato è che, quando la commissione del governo visitò la scena appena dopo l’incidente e si fermò lì per la notte, vicino alla centrale, i suoi membri mangiarono e bevvero normalmente e si mossero senza i respiratori, come facevano anche gli altri che lavoravano lì. Se fossero stati a conoscenza dei rischi e del reale impatto del disastro, non lo avrebbero fatto. Nessuno conosceva la verità e i nostri tentativi di ottenere informazioni complete furono vani. Pensammo che il maggior impatto dell’esplosione fosse in Ucraina, ma la Bielorussia fu colpita ancora di più, e anche Polonia e Svezia ne subirono le conseguenze”. Come è noto, furono degli scienziati svedesi a far sapere al mondo che c’era stato un incidente nucleare in Unione sovietica, non certo le autorità di Mosca.

 

Gorbaciov ha anche detto che la catastrofe di Chernobyl è stata, “più del lancio della mia perestrojka”, la causa vera del collasso dell’Unione sovietica cinque anni più tardi. “Un punto di svolta storico”, lo ha definito, c’era stata un’epoca prima del disastro e ce ne sarebbe stata una “molto diversa” dopo. Per molti ucraini (non tutti), Gorbaciov è incastrato in quelle due stagioni: anche il migliore dei russi rappresenta una minaccia, che è poi un’ipoteca storica e culturale sulla possibilità, in futuro, di una nuova convivenza con i russi.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi