(foto EPA)

Perché a Gaza il Jihad islamico è una spina nel fianco per Hamas

Rolla Scolari

L'assenza del principale movimento islamista dai nuovi disordini si spiega anche con la necessità di bilanciare azioni di resistenza con le responsabilità di governo. Meglio non imbarcarsi in un un ennesimo round di combattimenti, è il ragionamento

Di lotta ma anche di governo. Si potrebbe spiegare così, saccheggiando impropriamente da un’antica lingua politica italiana, l’assenza del movimento islamista Hamas dall’ultima crisi armata che ha investito la Striscia di Gaza. Israele venerdì ha lanciato una serie di raid aerei contro obiettivi del piccolo territorio costiero: 360 chilometri quadrati in cui vivono, sotto embargo israeliano ed egiziano dal 2007, 2,3 milioni di palestinesi. Gli attacchi sono stati definiti “preventivi” dai vertici dell’esercito israeliano: avrebbero avuto lo scopo di bloccare la rappresaglia del movimento armato palestinese Jihad islamico, considerato gruppo terroristico da diversi paesi, in risposta all’arresto di alcuni suoi membri in Cisgiordania, tra loro uno dei leader, Bassem al Saadi. Dall’inizio delle ostilità alla tregua, raggiunta domenica, sono state uccise, secondo fonti mediche palestinesi, 44 persone:  miliziani e civili. All’operazione israeliana, il Jihad islamico ha risposto con il lancio di centinaia di razzi sul sud di Israele. Gli ordigni sono stati quasi tutti intercettati dal sistema antimissilistico Iron Dome. 

Si è trattato del più rischioso scambio a fuoco tra Israele e gruppi armati palestinesi dagli undici giorni di conflitto di maggio 2021, quando però a guidare l’offensiva palestinese c’era il padrone di casa, Hamas: il gruppo islamista controlla la Striscia dal 2007, quando rovesciò armi alla mano l’autorità del movimento rivale Fatah. Da allora, il gruppo è stato protagonista di quattro conflitti con Israele. Questa volta, invece, è subito apparso chiaro come lo scontro fosse tra Israele e il Jihad islamico, e come Hamas fosse ben deciso a tenersene fuori. Alleato ma allo stesso tempo rivale sul piccolo territorio di Gaza, il Jihad islamico palestinese, nato nella Striscia nei primi anni Ottanta e sponsorizzato dall’Iran, rappresenta spesso per Hamas un’antagonista problematico alla sua leadership interna. E’ accaduto che suoi membri fossero arrestati per aver lanciato missili su Israele senza coordinarsi con la leadership locale. 

 

Come ha ben spiegato su Twitter il ricercatore di Sciences Po Erik Skare, autore di “A History of Palestinian Islamic Jihad: Faith, Awareness, and Revolution in the Middle East” (Cambridge Univeristy Press, 2021), Hamas “deve bilanciare il suo essere un movimento di resistenza con l’adempimento delle sue responsabilità di partito di governo”, a differenza degli alleati-rivali, contrari a qualsiasi attività politica sulla scena palestinese che non sia quella della “resistenza” armata. Sarebbe anche questo atteggiamento di costante militanza, oltre all’aumento delle potenzialità militari, ad aver rafforzato negli ultimi anni il Jihad islamico –  che resta comunque, numeri e dati alla mano, meno aggressivo di Hamas –, innescando così le operazioni dell’esercito di Israele, preoccupato che il gruppo possa rafforzarsi anche in Cisgiordania, dove tradizionalmente è più debole. I tre giorni di raid avrebbero logorato la leadership del movimento. 

Hamas, drammaticamente assente perfino dalle attività internazionali di mediazione per mettere fine al conflitto in casa propria, condotte da Egitto, Qatar e Nazioni Unite, nei tre giorni di attacchi è stato immobile a guardare. Il movimento, indebolito dalla guerra di maggio 2021 sia militarmente sia finanziariamente, sa bene come un nuovo scontro armato prolungato con Israele rischi di danneggiare ulteriormente le fragili infrastrutture civili della Striscia, di piegare una popolazione stufa di ripetuti e ciclici conflitti e di un blocco dei confini e navale che impoverisce il sovrappopolato territorio palestinese. Nella primavera del 2019, la leadership islamista aveva soppresso con violenza proteste popolari contro l’aumento dei prezzi e contro una situazione economica sempre più precaria imputata alla mala gestione del territorio. Così, mentre nei giorni scorsi il confronto era tra Jihad islamico ed esercito israeliano, tutti gli occhi erano puntati su Hamas: se la sua ala militare avesse deciso di intervenire, sarebbe stato complesso evitare un ennesimo round di combattimenti protratti con Israele.

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