(foto EPA)

Brexit, tasse e integrità. Come lo 0,4 per cento degli inglesi sceglierà il premier

Mark Damazer

Dentro alla trasormazione e alle priorità dei tory, che adesso hanno il compito di indicare il post Boris Johnson

Il premier britannico che verrà dopo Boris Johnson deve convincere due diversi collegi elettorali conservatori. Dovrà prima persuadere, affascinare, adulare o semplicemente offrire la prospettiva di un posto di primo piano ai suoi 350 colleghi deputati conservatori in Parlamento. Sono infatti i deputati conservatori che, dopo una serie di votazioni, riducono la lista già ridicolmente lunga dei contendenti per arrivare agli ultimi due. Ma poi quei 350 parlamentari devono farsi da parte come tutti noi e attendere il verdetto dello 0,4 per cento circa dell’elettorato britannico – i circa 200 mila membri del Partito conservatore che passeranno il mese di agosto ad ascoltare i due candidati finalisti che spiegano che cosa vogliono fare e chi sono veramente ora che si sono liberati dal logorante obbligo di giurare totale fedeltà a Boris Johnson.

I parlamentari, il cui voto è segreto, dovrebbero conoscere i punti di forza e di debolezza dei candidati e, se sono responsabili, dovrebbero eliminare chi secondo loro non è in grado di svolgere questo lavoro. Ma i parlamentari sono stati tutt’altro che responsabili tre anni fa. La maggior parte di loro allora sapeva che Johnson aveva la storia di – siamo gentili – uno che non riesce a dire qualcosa che si avvicini alla verità quando è sotto pressione.  La maggior parte di loro sapeva che Johnson era a corto di idee, non aveva una strategia, non aveva una filosofia politica coerente, disprezzava i dettagli e aveva fatto male quando era stato ministro degli Esteri nel governo di Theresa May. Tutto ciò non ha impedito alla maggior parte di loro di votare per lui: pensavano che fosse un grande attivista politico che avrebbe fatto vincere loro le elezioni e portare a termine la Brexit. Forse i più ottimisti credevano che, contro ogni previsione, Johnson avrebbe combiata la propria personalità e avrebbe trovato dentro di sé un certo grado di onestà e integrità. 

 

Così, alle elezioni per la leadership di tre anni fa, Johnson è arrivato in testa al voto dei parlamentari e il suo carisma, il suo ottimismo e la sua semplicità a buon mercato hanno portato a una vittoria schiacciante tra i membri conservatori del paese, per due a uno contro Jeremy Hunt. Hunt, che oggi si ricandida, era un politico  più battagliero e abile, ma aveva fatto campagna per la permanenza del Regno Unito nell'Ue nel 2016 e non si era pentito a sufficienza per quel “peccato”.  E aveva poco dell’estro retorico di Johnson.

Johnson, come lui stesso ci ha rumorosamente ricordato durante il suo mandato, ha effettivamente condotto i conservatori a una vittoria schiacciante alla fine del 2019 contro un Partito laburista davvero senza speranza, guidato da Jeremy Corbyn.  E ha portato a termine la Brexit, ma solo in parte: ha concordato con l’Ue un accordo sull’Irlanda del nord che ora vuole stracciare.  E’ improbabile che l’abbia mai letto. Ma in generale Johnson si è comportato più o meno come da manuale, finché una verità di troppo non ha convinto i suoi stessi ministri che il gioco era fatto.

Il Partito conservatore è stato a lungo un’ampia coalizione, in grado, pur a fatica, di accogliere molti filoni di pensiero di destra o di centro. Esiste da molto tempo ed è il partito di maggior successo nel mondo democratico nella necessaria attività di vincere le elezioni. Per gran parte della sua storia è stato sospettoso nei confronti dei cambiamenti istituzionali radicali, preoccupato per l’equilibrio delle finanze pubbliche, favorevole al libero scambio, fortemente orientato all’economia di mercato e alle aziende.  E sebbene sia scettico su molti aspetti dell’Ue, la maggior parte pensa  che sia meglio rimanere al suo interno. Anche durante il referendum sulla Brexit del 2016, la maggioranza dei parlamentari conservatori decise, quasi, di sostenere l’allora primo ministro David Cameron nella campagna per il remain.  E il 40 per cento degli elettori conservatori voleva rimanere nell’Ue. Ma la verità più grande è che la parte moderata del Partito conservatore è in ritirata da decenni.  A ogni elezione, è arrivato un numero sempre maggiore di nazionalisti ai Comuni e ora è in gran parte un partito fondamentalista della Brexit – a volte allegramente e a volte rabbiosamente ubriaco della propria ostilità a Bruxelles e inondato da una forma di nazionalismo inglese.

 

L’elezione della leadership dei Tory sarà quindi in parte un’asta di euroostilità con tutti i candidati, compreso il povero Jeremy Hunt, che si ricandida, che faranno a gara per essere scortesi nei confronti dell’Ue o di qualsiasi cosa contenga la parola “Bruxelles”. E non mancherà il disprezzo nei confronti del presidente francese Emmanuel Macron. Ma ci sarà anche un’altra asta, con una folle spirale di promesse sui tagli alle tasse. Il governo di Johnson, come molti altri, ha dovuto spendere e prendere in prestito centinaia di miliardi per tenere a galla l’economia durante la pandemia.

Il suo cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, un serio candidato alla sua successione, ha più o meno costretto Johnson ad accettare aumenti delle tasse sia per le imprese sia per le famiglie, per fermare l’emorragia delle finanze pubbliche. In questo modo Sunak si è comportato come un conservatore tradizionale, ma questo non è più sufficiente. Praticamente tutti gli altri candidati parlano di cancellare gli aumenti delle tasse e alcuni vogliono introdurre una nuova serie di tagli fiscali, nella speranza che, magicamente, l’economia britannica, perennemente a bassa crescita, si auto-accenda e le entrate si riversino nelle casse dell’erario.   A seconda dei gusti macroeconomici, si tratta di una massiccia conversione al pensiero keynesiano – da parte di un partito di destra che venera la memoria della decisamente poco keynesiana signora Thatcher – o dell’economia dell’asilo.  Ma, Sunak a parte, la corsa a promettere la luna è in corso. 

E su tutto incombe la questione della correttezza etica dei candidati – una nuova dimensione per questa contesa. Nessuno vuole un altro menzognero come Johsnon.   I media britannici andranno a caccia di fango – e ce ne sarà. Possiamo solo sperare che il risultato sia meno sgradevole di quello di tre anni fa.

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