Libano inceppato

La strana convivenza dentro al Parlamento libanese dove tutto si blocca

Claudia Cavaliere

Nabih Berri è stato rieletto per il settimo mandato consecutivo a capo del Parlamento del paese. Ma aver ottenuto solo 65 voti è dimostra quanto le elezioni siano andate male per il fronte sciita

Il leader del movimento sciita di Amal, Nabih Berri, è stato rieletto la settimana scorsa a capo del nuovo Parlamento libanese per il settimo mandato consecutivo, tant’è che in Libano la sua esperienza alla guida dell’unica istituzione votata direttamente dal popolo va avanti dal 1992 ed è definita “regno”. In virtù di una convenzione su cui si basa la condivisione del potere  per quanto riguarda i principali incarichi pubblici, questo ruolo deve essere ricoperto da un esponente del gruppo religioso sciita, così come il primo ministro è sempre sunnita e il presidente della Repubblica sempre cristiano maronita. Questa volta, a differenza di tutte le precedenti legislature in cui i consensi superavano i 90 voti sui 128 seggi totali, Berri ha ottenuto 65 preferenze, il minimo sindacale per sedere nuovamente al vertice. 


L’elezione di Nabih Berri non è mai stata in pericolo, neppure dopo il disegno del nuovo Parlamento a seguito delle elezioni del 15 maggio scorso, ma aver ottenuto solo 65 voti è concreta espressione di quanto le elezioni siano andate male per il fronte sciita: il partito di Hezbollah sostenuto dall’Iran ha conservato i suoi numeri, ma quelli degli alleati di Amal e del movimento patriottico libero – fondato dall’attuale presidente della Repubblica Michel Aoun – sono andati distribuiti tra gli altri partiti e gli indipendenti, quelli che nel 2019 erano per le strade di Beirut a protestare sotto un’unica bandiera contro l’intero sistema politico libanese, il clientelismo e la corruzione. 

 

Raggiunti i voti necessari all’elezione, nel corso di una caotica prima seduta parlamentare tra interruzioni di corrente e richieste di trasparenza, alcuni rappresentanti volevo astenersi dal proseguire il conteggio delle schede, ma le forze di opposizione hanno chiesto che tutti i voti venissero scrutinati. Su circa una quarantina di quelle schede c’era scritto: “Giustizia per l’esplosione al porto”, o ancora si leggeva il nome di “Lockman Slim”, pensatore sciita anti Hezbollah trovato morto nella sua automobile nel febbraio del 2021. 


Se la poltrona di Berri non era in dubbio, l’elezione del vice presidente è stata meno scontata ed è stata aggiudicata al secondo turno con 65 voti al greco-ortodosso Elias Bou Saab – ex ministro dell’Istruzione, alleato del Movimento patriottico libero e allineato a Hezbollah – contro Ghassan Skaff, deputato indipendente che ha ottenuto 60 voti. Così, questi partiti, nonostante aver perso la maggioranza, sono comunque riusciti a conservare due importanti incarichi in Parlamento.

 
Ma qualcosa intorno si è mosso: quando il 17 ottobre del 2019 migliaia di persone sono scese in piazza, attorno al complesso del Parlamento e delle principali istituzioni di Beirut sono state erette a protezione delle barriere di cemento, a impedire che i manifestanti potessero assaltarle. Era di forte impatto vedere che ai cittadini fosse impedito l’accesso alle istituzioni che avevano contribuito a votare e che avrebbero dovuto rappresentarli. Dopo il 15 maggio scorso, alcune di queste barriere sono state abbattute, così come sono state allentate le misure di sicurezza intorno al palazzo: “Le persone che erano scese in piazza allora, sono le stesse che ora siedono in Parlamento”, ha detto il ministro dell’Interno, Bassam Mawlawi, incaricato dell’allentamento delle restrizioni. 


Secondo gli analisti, nelle prossime settimane il presidente Michel Aoun conferirà l’incarico di formare il nuovo governo al precedente primo ministro Najib Mikati, ma dicono anche che probabilmente seguiranno altri mesi di paralisi politica che ritarderanno ancora le riforme chieste a livello internazionale necessarie per muovere i primi passi per portare il Libano fuori dalle sue crisi. Intanto, fuori dal Parlamento i libanesi vedono il valore della moneta locale ancora diminuire, con un dollaro la scorsa settimana scambiato al mercato nero al livello record di 34 mila lire libanesi, uno stipendio medio pari a 675 mila lire – fa circa venti dollari al mese – che vale quanto un pieno di benzina e un chilo di pane che costa 16 mila lire. I libanesi, per sopravvivere, devono continuare a scegliere a cosa rinunciare.

Di più su questi argomenti: