disinformazione come arma

La propaganda cinese stappa champagne a ogni sparatoria in America

Giulia Pompili

La CIna esaspera ogni aspetto negativo della società americana per delegittimare le critiche che gli Stati Uniti le muovono in campo di diritti umani

Ieri sul sito di Xinhua, la principale agenzia di stampa cinese, uno dei commenti più letti e condivisi risultava essere quello con un titolo eloquente: “Due anni dopo la tragedia di Floyd l’America resta soffocata dal razzismo”. Nella quotidiana conferenza stampa al ministero degli Esteri cinese, martedì, il portavoce Wang Wenbin, commentando la strage di bambini alla scuola elementare di Uvalde, in Texas, ha detto: “Il diritto alla vita è il più importante diritto umano e la discriminazione razziale è la più grande ingiustizia. Gli Stati Uniti sono colpiti da una grave violenza armata e dalla discriminazione sociale, e sono anche il paese con il più grande deficit di diritti umani. E’ inaccettabile che negli ultimi decenni il governo americano non abbia adottato misure sostanziali per affrontare questi problemi”. Mai come in questo periodo la propaganda cinese sta sfruttando a suo favore i problemi della società americana.

 

Durante il periodo dell’emergenza Covid aveva fatto lo stesso parlando dei morti in America – un modo anche per giustificare il “modello cinese” dei ferrei lockdown che continuano a oltre due anni dall’inizio della pandemia.

 

Lo scontro tra America e Cina è anche una gara a chi giudica peggio l’altro, una competizione che Pechino conduce esasperando gli aspetti negativi della società americana e quindi la debolezza e le contraddizioni del suo sistema di governo.  Cate Cadell del Washington Post ha scritto ieri su Twitter che le sparatorie di massa negli Stati Uniti sono diventate “una potente arma” per la Cina: “Ora è perfettamente normale che Pechino risponda alle denunce di abusi nello Xinjiang con le statistiche sui morti per arma da fuoco in America. Allo stesso modo, la tv di stato ha trasmesso per settimane i nove minuti dell’omicidio di George Floyd”. La leadership cinese ha studiato per anni da vicinissimo il sistema americano (e quello europeo) e ora sa come colpire e rendersi credibile, screditando l’avversario su temi delicatissimi. Su Weibo, la più popolare piattaforma online cinese, l’hashtag “21 morti in Texas” è entrato nei temi caldi con più di cento milioni di visualizzazioni. La maggior parte dei commenti riguarda la libertà in America, che in realtà nasconderebbe “il profondo disprezzo per la vita” degli americani (un utente ultranazionalista, per esempio, scrive: “La polizia americana è molto coraggiosa: uccide innocenti cittadini neri e disarmati, ma quando i veri criminali si fanno vedere, si spaventano. Un sistema corrotto e fallito”).

 

Ma l’obiettivo per la propaganda cinese è soprattutto quello di rendere meno credibile il ruolo dell’America giudicante, per esempio sui diritti umani, su come dovrebbero essere regolate le relazioni internazionali, su paesi con modelli “diversi” come la Russia. E questa narrazione funziona, almeno online e nel partito degli anti americanisti d’occidente. Payton Gendron, il diciottenne che il 14 maggio scorso è entrato nel supermercato Tops Friendly Market di Buffalo e ha ucciso dieci persone e ferite altre tre in nome della “difesa della razza bianca”, indossava una maglietta con un simbolo runico, il Sole nero, legato ad alcuni movimenti neonazisti. La propaganda russa ha preso al volo il pretesto per collegare il killer al battaglione Azov in Ucraina.

 

Chen Weihua, giornalista del China Daily e uno dei troll nazionalisti cinesi più attivi su Twitter, ha scritto sul suo giornale che “il suprematismo bianco e il razzismo sono una minaccia per i diritti umani negli Stati Uniti e nell’Ue, qualcosa che si dovrebbe affrontare con urgenza e serietà, invece di tenere continuamente conferenze sui diritti umani nel mondo in via di sviluppo”. Questa continua, incessante manipolazione dell’informazione e giudizio morale ha un fine ultimo: ieri, sempre il ministero degli Esteri cinese ci informava che se la guerra in Ucraina “ha gravato sull’Europa dal punto di vista politico, economico e sociale, l’America sta aumentando i profitti. I trafficanti di armi stappano champagne, le industrie americane del grano e dell’energia stanno raccogliendo enormi profitti”. La contronarrazione che funziona benissimo anche sui media italiani, cioè la base delle teorie del complotto. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.