Uomini della brigata 444 presidiano Tripoli dopo avere respinto le milizie di Bashagha (foto LaPresse)

la Libia in bilico

Sono bastate 5 ore di caos a Tripoli per affossare mesi di negoziati

Luca Gambardella

Bashagha prova a entrare nella capitale ma viene cacciato malamente. Il tavolo diplomatico con Dabaiba è quasi saltato. Un messaggio per Italia, Europa e Stati Uniti: una nuova guerra in Libia è sempre possibile

Stanotte, uno dei due premier che si contendono la Libia, Fathi Bashagha, è entrato a Tripoli accompagnato dalle milizie che lo sostengono e in appena cinque ore ha affossato mesi di negoziati rischiando di trascinare il paese in un nuovo conflitto. La nuova, ennesima mini crisi libica è iniziata alle prime luci dell’alba, con Bashagha che dalla capitale annunciava con un video di volere essere il presidente di tutti. Ci provava da mesi a spodestare l’altro premier, Abdul Hamid Dabaiba, che invece è insediato a Tripoli da più di un anno con il placet delle Nazioni unite. Nessuno ha mai creduto alle promesse di Bashagha, che diceva di potere prendere il controllo della Libia pacificamente, se non altro perché dietro a lui c’è Khalifa Haftar. Per entrare a Tripoli, il generale della Cirenaica aveva bisogno di un politico dal volto buono, non sgradito alle diplomazie occidentali, uno come Bashagha. Ma ancora una volta, i suoi calcoli si sono rivelati sbagliati e, dopo l’offensiva di oggi, la credibilità dell’ex ministro dell’Interno è compromessa, forse in modo definitivo.

 

Da tempo il politico nativo di Misurata era impegnato nella farraginosa creazione di alleanze con le milizie di Tripoli che gli potesse garantire l’avanzata verso la città. Oltre all’appoggio della brigata Nawasi, Bashagha aveva cooptato anche lo Stabilisation Support Apparatus, la milizia che oltre a controllare la periferia sud di Tripoli – quella di Abu Salim – si è imposta anche a Zawiya. Però qualcosa nel piano di Bashagha non ha funzionato, perché le forze speciali della brigata 444, quelle che sostengono Dabaiba, hanno reagito con fermezza. In diversi quartieri di Tripoli le milizie di una parte e dell’altra si sono scontrate per alcune ore, con i muezzin che dagli altoparlanti lanciavano appelli a deporre le armi. Alla fine, nei pressi del suq Joma, nel centro della capitale, Bashagha e i suoi sono stati circondati e scortati fuori dalla città. Per dimostrare che tutto era sotto controllo, Dabaiba è sceso per le strade tornate sgombre dai pick-up delle milizie e di nuovo riempite dal consueto traffico cittadino. Sorridente, si è fatto riprendere mentre stringeva le mani a chi era incolonnato in auto. E’ un governo “isterico”, ha scritto su Twitter Bashagha qualche ora dopo. “Siamo rimasti sorpresi dalla pericolosa escalation militare portata avanti dai gruppi armati affiliati al governo”. Sebbene fosse attesa da tempo, non si sa perché Bashagha abbia deciso di lanciare la sua offensiva a Tripoli proprio ora. Appena il giorno prima, domenica, erano ripresi al Cairo i colloqui fra est e ovest del paese con la mediazione dell’Onu e degli egiziani. Una delle ipotesi è che sia stato proprio l’Egitto a dare il suo benestare a Bashagha. 

  

La reazione decisa di Dabaiba segna un punto di svolta in Libia, spiega al Foglio Claudia Gazzini dell’International Crisis Group: “Bashagha ora è più debole e Dabaiba si è rafforzato. Soprattutto, il premier di Tripoli potrebbe non avere più interesse a sedersi a un tavolo per trattare”. La crisi rischia di peggiorare, secondo l’esperta. “Si va verso una polarizzazione degli schieramenti, che useranno una retorica sempre più violenta per screditarsi a vicenda. In questo modo, anche le elezioni, che qualcuno ipotizzava già per il mese prossimo, son più lontane dopo i fatti di oggi”. 

 

Per l’Italia e l’Europa non significa nulla di buono. Bashagha e Haftar, che pensavano di riuscire a mettere in difficoltà Dabaiba, il mese scorso hanno bloccato parzialmente i terminal petroliferi dell’est. Oggi, un terzo delle linee di produzione del greggio è ancora fermo e la produzione non va oltre gli 800 mila barili al giorno. Vista la guerra in Ucraina e le sanzioni imposte alla Russia, gli Stati Uniti e l’Europa puntavano anche sulla Libia per alimentare le forniture mondiali di greggio. Washington in particolare si era detta disponibile a trattare per creare un nuovo sistema di redistribuzione degli introiti derivanti dal petrolio che non scontentasse est e ovest. Ma i fatti di oggi a Tripoli hanno fatto fare passi indietro anche su questo punto. “Credo che le chiusure dei terminal possano solo peggiorare di qui in avanti”, dice Gazzini. Così i calcoli sbagliati di Bashagha e Haftar smentiscono chi in Europa e in Italia si illudeva in una imminente via d’uscita. Oggi come ieri, la Libia resta il paese con le risorse di petrolio più ricche dell’Africa, ma ostaggio di bande di criminali impossibili da controllare.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.