Il diciottenne che ha fatto strage di neri a Buffalo non è un lupo solitario, fa parte di un branco suprematista
L’ideologia di Gendron l’abbiamo sentita molte volte e se si uniscono i puntini della radicalizzazione di quello che definiamo terrorismo interno ci imbattiamo nei soliti nomi: la famigerata rete QAnon è il collettore più visibile
Tredici persone sono state colpite, undici erano afroamericane, dieci sono morte. L’assalto in un supermercato di Buffalo, nello stato di New York, è nato dall’odio razziale: il diciottenne in custodia della polizia, Payton S. Gendron, che si era creato un miniarsenale e se l’è portato fino al negozio, che sta in un’area abitata per lo più da afroamericani, ha lasciato un manifesto di 180 pagine che gli inquirenti definiscono suprematista. Ha iniziato l’assalto in diretta su Twitch, come già era accaduto nel 2019 a Christchurch, in Nuova Zelanda, nell’attacco di un ragazzo suprematista a una moschea (cinquanta vittime, lui aveva preferito la diretta Facebook), anche se poi il video si è interrotto, ma la “N” dispregiativa scritta sul fucile si è fatto in tempo a vederla. Gendron voleva ammazzare più afroamericani possibili, si è ispirato alla teoria della sostituzione etnica che va molto forte nell’estremismo di destra e negli ambienti complottisti, che individuano non soltanto il problema da eliminare ma anche i colpevoli: i liberal, i liberali, George Soros, gli ebrei (è un elenco che abbiamo ritrovato in questi giorni in bocca a un sostenitore del Cremlino).
Il diciottenne ha comprato armi e munizioni fino a gennaio, ha scritto un testo nel formato domanda-risposta, si definisce fascista, suprematista e antisemita, ha deciso di agire, ha sparato a tredici afroamericani fino a quando non è stato fermato da una ex guardia afroamericana che è rimasta uccisa ma che ha contenuto la strage. Ha scelto la catena di supermercati Tops in un quartiere dove, secondo le statistiche, soltanto l’un per cento della popolazione è bianco. Lo chiamano lupo solitario che è la definizione che diamo ai terroristi che non sono affiliati a un gruppo definito e che agiscono in modo autonomo. Ma come scrive Juliette Kayyem in un doloroso articolo sull’Atlantic, nemmeno in natura i lupi senza branco riescono a fare male, perché funzionano nel loro modo letale soltanto se sono insieme. Gendron non era da solo, viveva in branco, anche se non apparteneva a una sigla riconoscibile o non c’è stata una rivendicazione, e l’ideologia che li tiene assieme è quella che abbiamo visto emergere negli ultimi anni con una forza impressionante, con il trumpismo e i movimenti di destra estrema pronti a propagandarla, passando per quelli che stavano finalmente dicendo come stanno le cose.
La rete ha fatto da collante, ha creato branchi nuovi che si riconoscono in tutti i continenti, che si lanciano segnali e utilizzano le stesse parole d’odio che si parli di migranti, di ebrei, di afroamericani, che ripetono che l’uomo bianco è in pericolo e deve reagire e si ripetono l’un l’altro la parola chiave: la sostituzione. Ci stanno sostituendo, ci stanno togliendo potere, spazi, ambizioni, e non ci resta che fermarli. L’abbiamo sentita molte volte e se si uniscono i puntini della radicalizzazione di quello che definiamo terrorismo interno (del nostro vicino di casa, di uno come noi: c’è stata una riconversione dei servizi d’intelligence occidentali dal terrorismo di matrice islamica a quello suprematista) ci imbattiamo nei soliti nomi: la famigerata rete QAnon è il collettore più visibile, il grande branco.
L'editoriale del direttore