Il 9 maggio di Vladimir Putin, tra vittorie da rivendicare e guerre da dichiarare

Micol Flammini

Cosa venderà il capo del Cremlino ai russi e al mondo dagli scranni del giorno della vittoria

La data di lunedì 9 maggio è attesa con trepidazione e paura, sentimenti che lasciano la Russia e l’Ucraina appese a quelle che saranno le parole di Vladimir Putin. Il presidente russo ha reso la festa in cui si celebra la vittoria dell’Unione sovietica sulla Germania nazista, la fine della Grande guerra patriottica, un giorno importantissimo, con cura particolare dal 2008: pochi mesi dopo iniziò la guerra contro la Georgia. Non ha rinunciato alla parata neppure durante la pandemia, di anno in anno l’ha allestita come  un teatro da cui mostrare la Russia al mondo e se prima invitava ospiti internazionali – hanno partecipato anche Bill Clinton e George W. Bush – con il tempo il numero dei leader disposti ad andare a vedere la potenza della macchina bellica russa a sfilargli sotto il naso si è ridotto. 

 

Questo 9 maggio  non sarà rivolto al passato, ma al presente, all’invasione dell’Ucraina, e sarà un punto tra una fase e l’altra della guerra. Nella Piazza Rossa ci sarà la propaganda mostrificata dell’attacco russo con Kyiv, ci sarà la Z, il simbolo dell’invasione, e ci si chiede se, accanto alla bandiera russa, comparirà quella sovietica, che gli occupanti in Ucraina stanno usando per sfregiare le città invase. Putin avrebbe voluto dichiarare la vittoria contro Kyiv per il 9 maggio, qualcuno ha supposto che volesse proprio organizzare la parata nella capitale ucraina. Ora dovrà guardare il suo esercito che sfilerà in formato ridotto dai soliti scranni della Piazza Rossa, e sono due le cose che potrebbe annunciare: una vittoria o una guerra. Putin non ha vittorie strategiche da rivendicare, l’invasione non va come programmato, sta accumulando territorio  a sud, ma a est l’esercito russo procede lentamente e gli ucraini si organizzano per la controffensiva. Quindi non ha successi strategici. Potrebbe però annunciare la presa di Mariupol, la città portuale assediata da oltre due mesi, che resiste nella zona dell’acciaieria Azovstal. Le autorità filorusse che sono state insediate da Mosca a Mariupol hanno detto settimane fa di voler tenere la parata del 9 maggio per le strade delle città con il piano, non confermato, di far sfilare anche i prigionieri di guerra. La città è devastata, rimuovere distruzione e macerie non è semplice, e ieri il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto che a Mariupol non si terrà nessuna parata. Ma Mosca è lontana e parlare nella capitale russa della conquista di Mariupol senza mostrarne le immagini può essere una vittoria tattica da sbandierare per dare ai russi un risultato concreto e sollevare il morale di un popolo isolato e di un esercito sofferente. 

 

Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, all’inizio della settimana, aveva invece parlato della possibilità che il 9 maggio Putin dichiari la mobilitazione generale. Una notizia simile si era diffusa in Russia subito dopo l’inizio della guerra, il 24 febbraio, quando la Duma, il Parlamento russo, sembrava sul punto di dichiarare la legge marziale. Non è stato fatto, ma la paura della mobilitazione generale è tornata, anche se la pratica sarebbe illegale. Per dichiarare la mobilitazione generale, la Russia dovrebbe essere un paese in guerra e attaccato. Ma Mosca in Ucraina ha incominciato un’“operazione speciale” e chiunque la chiami guerra può finire in carcere, quindi il Cremlino non può chiedere a tutti gli uomini dai diciotto ai sessant’anni (o cinquantacinque, la questione è dibattuta) di andare ad armarsi e non può obbligarli a rimanere nei confini nazionali: la guerra non c’è, dice Mosca. Inoltre la Russia non è un paese attaccato, ma potrebbe usare come scusa le incursioni ucraine nelle regioni di confine in cui Kyiv avrebbe colpito depositi di carburante e munizioni e altri obiettivi strategici. In quel caso potrebbe richiedere la mobilitazione dei cittadini che vivono nelle zone alla frontiera. Una mobilitazione generale potrebbe esserci quindi soltanto dopo una dichiarazione di guerra, e l’annuncio porrebbe fine alla pax russa in cui secondo Putin stanno vivendo i suoi cittadini e contravverrebbe alle stesse leggi che si è dato il Cremlino: quelle delle parole proibite. 

 

La Russia ha perso in Ucraina quindicimila soldati, all’incirca, una mobilitazione generale permetterebbe di estendere la leva, di chiamare i riservisti e anche tutti gli uomini che possono combattere, prima quelli con esperienza nell’esercito, poi anche gli altri. Servirebbe a rinfoltire le schiere dell’esercito, ma ci vorrebbe molto tempo prima di poter integrare questi uomini  in battaglia e non risolverebbe i problemi al fronte. Il sito indipendente Sota ha annunciato che alcune imprese statali russe, incluse le Poste, stanno reclutando personale esperto in “mobilitazione e tempo di guerra”. Il Cremlino ha detto che non ci sarà alcuna mobilitazione generale, né dichiarazione di guerra, ma che sarà una festa, e Mosca è piena di stendardi e segni di vittoria. Ma a volte le parole di Vladimir Putin e dei suoi funzionari vanno lette al contrario. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.