In Francia

Mélenchon fa litigare tutta la gauche, altro che fronte anti Macron

Mauro Zanon

Chi aveva dato per scontato un rassemblement delle sinistre francesi in vista delle legislative di giugno non aveva messo in conto la solita inclinazione al litigio della grande famiglia dei progressisti. Dai Verdi ai socialisti, crescono le voci critiche verso la "volontà egemonica" del leader della France insoumise

Parigi. Chi aveva dato per scontato un rassemblement delle sinistre francesi attorno alla candidatura di Jean-Luc Mélenchon, presidente della France insoumise (Lfi), arrivato terzo al primo turno delle elezioni presidenziali, non aveva messo in conto la solita inclinazione al litigio della grande famiglia dei progressisti. Le trattative per creare un blocco unico della gauche alle elezioni legislative dei prossimi 12 e 19 giugno, con l’obiettivo di avere una maggioranza all’Assemblea nazionale, sono iniziate nel peggiore dei modi: tutti bisticciano con tutti, i Verdi di Yannick Jadot hanno già messo in discussione la legittimità di Mélenchon come leader della coalizione, e l’ex presidente François Hollande ha detto ieri che il Partito socialista rischia di “scomparire” in caso di accordo con la formazione mélenchonista, in ragione dell’incompatibilità di visioni su molti temi importanti.

 

“Sono favorevole a una coalizione in questa campagna per le legislative, certo”, ha dichiarato Jadot. Dietro Mélenchon? “Non funzionerà”, ha sentenziato il frontman dei Verdi francesi. Sulla sua scia Julien Bayou, segretario nazionale degli ecologisti, che ha criticato la “volontà egemonica” di Mélenchon, galvanizzato dal suo 21,95 per cento, pari a più di sette milioni di voti. “Vinciamo insieme. Ma l’alleanza non può realizzarsi sulla base di una volontà egemonica: non si tratta di eleggere degli ologrammi nelle varie circoscrizioni”, ha detto Bayou in un’intervista molto polemica su Libération, invocando una “giusta rappresentazione di ogni partito” e non “un’accozzaglia ingiusta e concepita male”. 

 

Un generale mélenchonista ha detto a Chez Pol, la rubrica politica di Libération, che “Jadot vuole sabotare l’accordo” con gli Insoumis: per una questione di ego e per il timore di essere risucchiato dal partito di Mélenchon, che sulle tematiche ambientali è stato molto efficace durante la campagna elettorale. Ma all’interno del partito ecologista, che alle presidenziali ha ottenuto meno del 5 per cento di voti, non tutti la pensano come l’ex candidato dei Verdi.  “Quando Jadot dice ‘non dietro Mélenchon’ lo dice a titolo personale”, assicura la numero due di Eelv, Sandra Regol, prendendo le distanze. Alla stregua di Sandrine Rousseau, finalista delle primarie interne di Eelv e portabandiera dell’ala più radicale, che ha riconosciuto “la leadership di Mélenchon”. “E’ arrivato primo, è lui che deve portare avanti questa coalizione”, ha affermato a BfmTv. 

 

Anche nel Ps esistono linee contrapposte sul comportamento da tenere nei confronti del tribuno giacobino. Nessuno ha dimenticato le parole aggressive pronunciate dal leader Insoumis nel 2017, dopo lo scrutinio presidenziale: “Non voglio indebolire il Partito socialista, voglio sostituirlo”. Ma c’è chi, dinanzi al misero 1,7 per cento raccolto da Anne Hidalgo lo scorso 10 aprile, pensa che non ci sia altra soluzione se non quella di aggrapparsi al treno di Mélenchon: “Il Ps da solo, preoccupato della propria identità, nel ricordo di ciò che fu un tempo, non è un’opzione realistica. Quelli che difendono questa opzione non guardano in faccia la realtà”, ha dichiarato al Monde Laurent Baumel, membro della delegazione Ps che mercoledì si è recata nella sede della France insoumise per le trattative.

 

E c’è chi, invece, giudica insopportabile, per il partito che fu di Mitterrand, la sottomissione a Mélenchon. “Anche se stare assieme è qualcosa di romantico, alla luce delle nostre linee politiche divergenti, non possiamo diluirci in Lfi”, ha detto Loïg Chesnais-Girard, presidente in quota socialista della regione Bretagna, prima di aggiungere: “Bisogna incassare il fallimento, accettarlo e ripartire dopo una profonda riflessione”. 

La mazzata all’accordo Ps-Lfi è arrivata ieri da Hollande, che ha ancora voce in capitolo tra i socialisti. “Dibattere è necessario, sparire è impossibile”, ha dichiarato l’ex inquilino dell’Eliseo, secondo cui il rischio di un accordo è quello di dover lasciare i tre quarti delle circoscrizioni alla France insoumise. Il problema, sottolinea Hollande, è anche di ordine programmatico. Sui trattati europei, sulla questione ucraina, sulla Nato, ma anche sulla futura riforma delle pensioni c’è troppa distanza tra il Ps e Lfi. Insomma, la strada per costruire un grande fronte goscista è tutta in salita.