(foto di Ansa)

oligarchi in fuga

Il vicepresidente di Gazprombank che ha lasciato la Russia e combatte con Kyiv

Enrico Pitzianti

Igor Volobuev, originario dell'oblast ucraino di Sumy, è almeno il quarto top manager del settore energetico che lascia il paese dall'inizio dell'invasione. Altri sono morti in circostanze sospette, a partire da Vladislav Avaev, ex dirigente della stessa banca

Okhtyrka è una cittadina del nord-est dell’Ucraina: è nell’oblast’ di Sumy e l’esercito russo l’ha bombardata pesantemente  dal primo giorno dell’invasione. Qui i russi inizialmente sono stati respinti, e così hanno scelto di usare sia le bombe a grappolo, proibite dal diritto internazionale, sia la bomba termobarica. Okhtyrka però è anche la città in cui è nato e cresciuto Igor Volobuev, che fino ai primi di marzo era vicepresidente di Gazprombank, cioè la banca più importante per il Cremlino. Oggi Volobuev non si trova più in Russia, è andato in Ucraina e combatte con la resistenza.

 

Gazprombank, la banca che contribuiva a dirigere, è uno degli asset più importanti per l’economia russa: riceve i pagamenti per le forniture di gas russo che continuano ad arrivare verso l’Europa, e per questo è la banca che ha subito meno sanzioni da parte dell’occidente. Proprio attraverso Gazprombank, infatti, il Cremlino ha potuto architettare la sua pretesa di pagamenti in rubli. Vedere il posto in cui si è nati e cresciuti sgretolarsi sotto le bombe, evidentemente, suscita un risentimento difficile da contenere anche per chi da trentatrè anni ricopre un ruolo di spicco nell’apparato energetico (e quindi politico) russo. In una recente intervista concessa alla testata ucraina Liga.net, Volobuev dice che alcune delle persone con cui è cresciuto gli hanno detto che si vergognavano di lui. Così, racconta l’ex dirigente, “ho fatto le valigie e sono volato fuori dalla Russia il 2 marzo”. La fuga di Volobuev è importante innanzitutto perché ci ricorda quanto siano legati ucraini e russi, e di conseguenza quanto ottusa sia l’idea di un’invasione e un’occupazione militare come quella in atto. E’ un errore storico ma che ha anche  conseguenze militari: i soldati russi hanno spesso parenti o origini ucraine e sono mandati a occupare territori in cui si parla la loro stessa lingua. Ma c’è di più, perché Volobuev non è  l’unico ad aver lasciato la Russia nelle ultime settimane.

 

I manager delle grandi aziende energetiche russe che hanno lasciato il paese sono almeno quattro. Molti altri, oggi, sono morti. Il 18 aprile scorso Vladislav Avaev (in passato anche lui vicepresidente di Gazprombank) è stato trovato morto. Il suo corpo e quelli di sua moglie e sua figlia sono stati trovati nel suo appartamento di Mosca. Secondo le autorità russe, Avaev avrebbe prima ucciso la sua famiglia con colpi di pistola e poi si sarebbe suicidato con un colpo alla testa. Anche Sergei Protosenya, ex manager di Novatek (la seconda azienda russa per produzione di gas), è morto in casa. Si trovava in Spagna: sua moglie e sua figlia in questo caso sono state uccise a colpi di coltello e accetta, lui invece è stato trovato impiccato. Fedor, il figlio maschio che è rimasto vivo perché nel frattempo si trovava in Francia, non crede che sia stato suo padre. I dubbi sono fondati: sull’accetta non c’erano impronte del dirigente russo, e nemmeno sul coltello. Sul suo corpo non c’erano tracce di sangue.

 

Quindi Igor Volobuev, oggi combattente di fianco agli ucraini, è scappato per paura di non essere ucciso? Lui sostiene di no: “in pochi giorni ho deciso che non potevo più vivere in Russia, perché i russi hanno ucciso mio padre, ucciso  miei conoscenti e amici intimi”. A leggere dichiarazioni simili potremmo avere la sensazione che Volobuev sia stato sempre un patriota ucraino, ma è vero l’esatto contrario: per anni semmai ha lavorato in Gazprom proprio col compito di screditare l’Ucraina, soprattutto agli occhi dell’occidente, in modo che venisse indebolita e perdesse centralità nel mercato del gas. “Avevamo il compito di dimostrare che il gasdotto ucraino era in una situazione di emergenza, che i tubi erano compromessi, che ricostruire il sistema era troppo costoso ed era più facile abbandonarlo”, ha raccontato. Di un ritrovato amor di patria, naturalmente, è lecito dubitare. Ma che sulle aziende energetiche russe (che si apprestano a perdere la loro enorme centralità) ci sia un’enorme pressione politica, questo invece è certo.

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