analogie
Le ossessioni di Putin non sono poi così diverse da quelle di Hitler e Stalin
La forma mentis di un dittatore alla prova della storia. Il problema è sempre lo stesso: gli autocrati vivono in una realtà tutta loro
Com’è noto, tutte le guerre, soprattutto quelle moderne, sono combattute anche sul piano dell’informazione, con la propaganda che dunque cerca di rappresentare una realtà di comodo secondo esclusivi criteri di convenienza. Ma questo avviene oggi da parte russa con una rilevante peculiarità, che non riguarda tanto la spregiudicatezza manipolatoria che sempre hanno mostrato in questo campo i regimi non democratici. Riguarda invece il fatto che a essere in qualche misura ingannato dalla propaganda sembra essere lo stesso capo del Cremlino, che ottiene dai suoi sottoposti precisamente le notizie che vuole sentire. Con la conseguenza di prendere decisioni e formulare piani poi smentiti dalla realtà, come si è visto a proposito dell’iniziale disegno di una guerra lampo, con relativa conquista di Kyiv e cambio di regime, un esito che qualcuno doveva evidentemente aver presentato agli occhi di Putin come probabile o magari più che sicuro.
Questa situazione di autoisolamento del potentissimo autocrate di Mosca è stata evidenziata da molti osservatori e non può non richiamare alla mente i due massimi dittatori totalitari del Novecento, Hitler e Stalin. Non si tratta di stabilire un paragone tra la Russia di oggi e quella degli anni Trenta, che sarebbe fuori misura; si tratta invece di chiedersi se non vi siano delle somiglianze tra il modo di ragionare di quei due dittatori e il mondo mentale di Putin. Un mondo mentale che, da quel po’ che filtra in occidente, sembra condizionato dagli specchi deformanti di una propaganda volta a compiacerlo, da paure di tipo paranoico sulle minacce che vengono dalla Nato, dalla convinzione di essere investito della missione parareligiosa di salvare la Russia e preparare un nuovo ordine eurasiatico da Lisbona a Vladivostok (così pochi giorni fa un uomo a lui molto vicino come Dmitrij Medvedev).
Il linguaggio di Putin, una delle poche vie di accesso ai suoi ragionamenti, sembra confermare certe somiglianze per quel che riguarda la sprezzante definizione dei nemici ucraini (e dei nemici tout court) come insetti. I russi traditori, cioè quanti di fronte all’invasione dell’Ucraina hanno lasciato il paese, sono stati bollati da lui come moscerini da sputare con disgusto. Altre volte ha definito i suoi nemici come mosche o vermi, come ha ricordato qualche settimana fa Marco Imarisio sul Corriere. Questo tipo di linguaggio era caratteristico sia di Hitler che di Stalin (ma anche di Lenin) come osservava già prima della caduta del Muro uno studioso polacco-tedesco, Andrzej Kaminski, in una storia comparata dei campi di concentramento. Quanti erano giudicati di ostacolo ai progetti del regime nazionalsocialista, così come coloro che venivano considerati nemici dal regime sovietico, “non erano soltanto individui da sterminare, ma anche parassiti dannosi, dai quali la terra – la terra russa per gli uni, la terra in generale per gli altri – doveva essere ripulita”. Come si capisce questa riduzione degli esseri umani a parassiti, pidocchi, vermi, bacilli della tubercolosi, vipere ecc., eliminava allora – e forse contribuisce a eliminare oggi – qualunque idea che si stia assassinando persone innocenti.
Uno dei maggiori studiosi della Russia sovietica, Moshe Lewin, descrisse in un suo saggio Stalin allo specchio, alla luce cioè di un confronto con il capo nazionalsocialista. Se tentassimo qualcosa di simile con Putin vedremmo probabilmente che più di un elemento della forma mentis di Hitler e di Stalin si ritrova anche nel mondo mentale dell’ex funzionario del Kgb, che alcuni dei fantasmi e delle ossessioni degli uni abitano oggi i pensieri e i piani dell’altro. Certamente è comune ai tre lo scollamento dalla realtà di cui si è detto, cioè l’essere immersi in un mondo parallelo costruito anche grazie alla propria stessa propaganda. Ed è comune la percezione paranoica di un pericolo costante che proviene da alcune categorie, che per questo – per “difenderci” – vanno eliminate.
Lo sterminio degli ebrei svolgeva per Hitler questa funzione, doveva proteggere la Germania da elementi (“insetti”) che volevano infettarne la purezza. Ma anche per Stalin le purghe servivano a proteggere il regime e il proprio potere da chi lo minacciava. Putin, soprattutto dopo il fallimento della rapida conquista di Kyiv, va sostenendo qualcosa di analogo: la “operazione militare speciale” sarebbe stata resa necessaria dall’urgenza di bloccare la minaccia della Nato e di “denazificare” l’Ucraina, un paese che ormai alcuni giornali di Mosca definiscono non soltanto controllato da una cricca di nazisti, ma in maggioranza nazista.
La Russia, che fino a qualche anno fa definivamo con il neologismo consolatorio (per noi) di “democratura” va ormai considerata una dittatura sotto molti punti di vista, anche se non è (e speriamo non diventi mai) una dittatura totalitaria del tutto simile alla Russia di Stalin e alla Germania di Hitler. E tuttavia se il confronto tra la forma mentis dei tre dittatori, la somiglianza tra le loro ossessioni e fobie, hanno un fondamento, allora questo ha conseguenze rilevanti. Il fatto che Putin non ragioni come noi, tanto da dare l’impressione di vivere in un mondo parallelo non privo di tratti onirico-paranoici, potrebbe rappresentare un ostacolo non da poco per la fine della guerra.