L'incontro Wang-Lavrov e il disegno della diplomazia cinese

Giulia Pompili

I due ministri degli Esteri di Cina e Russia si vedono a Tunxi, nella provincia cinese di Anhui, Pechino ha organizzato un summit sull’Afghanistan

A dodici ore dall’ultimo colloquio in videoconferenza con il capo della diplomazia dell’Ue Josep Borrell, a poco più di un giorno dall’atteso Summit Ue-Cina, ieri il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato il suo omologo russo, Sergei Lavrov. E’ il primo incontro tra i due  dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, e il primo risultato evidente è che sembra molto lontana una eventuale condanna di Pechino della guerra e dell’aggressore, anzi. La priorità della Cina, a giudicare dalle parole del suo ministro degli Esteri, continua a essere quella di mostrare al mondo un blocco alternativo a quello occidentale e filoamericano, che va avanti con la sua diplomazia parallela, indipendente e, nella maggior parte dei casi, illiberale.


Secondo la versione russa del bilaterale, “la conversazione si è svolta in un’atmosfera tradizionalmente basata sulla fiducia e amichevole”, e i ministri avrebbero affermato che “alla luce della difficile situazione internazionale, Russia e Cina continuano a rafforzare il loro partenariato strategico e a parlare con una sola voce negli affari globali”. Per quanto riguarda le sanzioni internazionali contro la Russia, sia Mosca sia Pechino avrebbero condannato le misure “illegali imposte dall’America e dai suoi paesi satelliti”, e secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa russe, Lavrov ha affermato che Russia, Iran “e gli altri partner” cercheranno insieme “misure concrete” per aggirare le sanzioni occidentali. Nella versione cinese dell’incontro, quest’ultima parte sulle sanzioni è più sfumata, e il ministro Wang ha fatto diretto riferimento all’incontro del 4 febbraio scorso tra il leader Xi Jinping e Vladimir Putin: “La Cina è disposta a collaborare con la Russia per portare i legami tra i due paesi a un livello ancora più alto in una nuova èra, sotto la guida del consenso raggiunto dai capi di stato”. Come sempre, Wang ha ribadito che l’unica via d’uscita dalla guerra è il negoziato tra le due parti, senza “interferenze esterne”. 


Non a caso il vertice tra i ministri russo e cinese è stato organizzato in un luogo molto simbolico. Perché a Tunxi, nella provincia cinese di Anhui, Pechino ha organizzato un summit sull’Afghanistan. Il paese, che dal 15 agosto del 2021 è tornato sotto l’amministrazione dei talebani, è considerato un perfetto spot pubblicitario contro le alleanze occidentali, e una settimana fa Wang Yi è stato a Kabul per una visita a sorpresa, dove ha incontrato  il sedicente viceprimo ministro  Abdul Ghani Baradar e il capo della diplomazia Amir Khan Muttaqi. I colloqui multilaterali sull’Afghanistan di ieri vedevano al tavolo solo quelli che secondo Pechino sono i diretti interessati alla crisi: i talebani, Russia, Cina e poi Pakistan, Iran, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Oggi è prevista una “troika estesa”, secondo la definizione di Pechino, alla quale parteciperà anche Tom West, inviato speciale americano dell’America per l’Afghanistan, e il Qatar e l’Indonesia come “ospiti”. Per Pechino l’Afghanistan è un test: vuole riaffermare la sua immagine di leader dei negoziati alternativo alla guida americana, attento ai risvolti umanitari e allo sviluppo economico ma senza richieste sui diritti umani e sui processi di democratizzazione. Ha un ruolo in Afghanistan   perché i due paesi condividono un confine, ma la guerra in Europa, secondo la visione del mondo cinese, è affare di qualcun altro. 


E questo lavorìo diplomatico va avanti anche su altri fronti. Dopo la due giorni a Tunxi, il ministro degli Esteri russo Lavrov volerà in India, l’altra potenza asiatica che non ha condannato la guerra d’invasione da parte di Mosca. Sei giorni fa c’era stato un altro viaggio sorprendente e inatteso di Wang Yi in India – la prima visita di alto livello sin dal giugno 2020, quando c’erano stati scontri su un confine conteso,  20 soldati indiani e 4 soldati cinesi erano rimasti uccisi. Dopo Wang, a Delhi arriva Lavrov. Nel frattempo il primo ministro pachistano, l’acerrimo nemico indiano  Imran Khan, perde la maggioranza e in molti, perfino tra chi lo sosteneva, chiedono le sue dimissioni. Durante un comizio pubblico qualche giorno fa ha detto: ci sono forze esterne che vogliono farmi fuori. Khan era a Mosca a incontrare Putin proprio il giorno dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, e le relazioni tra il Pakistan e la Russia e tra il Pakistan e la Cina non sono mai state più forti da quando c’è lui a capo dell’esecutivo a Islamabad. Lavorano tutti insieme per la destabilizzazione internazionale e la costruzione di un nuovo ordine mondiale. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.