Un ufficiale di polizia con un bambino che arriva in Polonia su un treno da Odesa, in Ucraina (Foto AP/Czarek Sokolowski) 

Radziwillowska 3, Cracovia. Qui prende residenza la nuova Europa

Luciana Grosso

Fino a dieci giorni fa era un teatro, oggi è un centro di smistamento e accoglienza per profughi ucraini

Cracovia – Radziwillowska 3, Cracovia. Segnate questo indirizzo, perché è uno dei posti in cui la nuova Europa, quella forte, accogliente e coraggiosa, sta prendendo residenza. Fino a dieci giorni fa qui c’era un teatro. Oggi c’è un centro di smistamento e accoglienza per profughi ucraini. Se volete vederla, la nuova Europa, venite in questa elegante via del centro di Cracovia, tra palazzi e vetrine signorili. In questa via stretta, la prima cosa che si sente in continuazione è il rumore dei trolley. Poi, sopra i trolley, l’intrecciarsi di lingue e soprattutto di gesti che servono a farsi capire dove le rispettive nozioni di inglese non arrivano. 

     

Nel teatro di Radziwillowska, l’associazione Salam Lab da qualche giorno ha allestito un centro d’accoglienza ordinato e organizzato, che accoglie donne, bambini, anziani, disabili. Funziona così: chi riesce a passare il confine si rivolge ai volontari che stanno gestendo il loro arrivo (Caritas o singole associazioni locali) che da città come Przemysl o Medyka li portano, appena possibile, a Cracovia, in uno delle centinaia di centri di accoglienza istituiti in questi giorni. Una volta arrivati, i rifugiati sono a metà del viaggio: almeno, sono arrivati in Europa. Da lì, poi, sciameranno per il resto del continente. Fino al giorno in cui partiranno però, possono restare in posti come questo, il teatro di Radziwillowska.

      
Nell’androne c’è caldo e odore di cibo cucinato. Lo stanzone è pieno di volontari: sono tutti giovanissimi, studenti per lo più. Sono polacchi, ucraini, russi e bielorussi arrivati qui da ovunque. Lavorano su scrivanie di fortuna, molti solo su una sedia, tenendo il computer sulle ginocchia, qualcuno per terra. Nello stanzone – che è il loro ufficio – i volontari hanno dovuto litigarsi i centimetri con le centinaia di derrate arrivate. Cibo, vestiti, mangime per animali, coperte, passeggini e qualunque cosa vi venga in mente. In questo stanzone, ufficio, magazzino i volontari smistano gli arrivi: chiedono alle persone chi sono e dove vogliono andare. Poi, una volta avuta questa informazione, vedono come fare per accontentarli. Il gruppo con cui abbiamo viaggiato noi (l’Associazione Santa Francesca Cabrini di Lodi) per esempio ha portato in Polonia sette quintali di derrate varie e ha riportato in Italia 14 persone. E come loro ce ne sono centinaia, in arrivo da tutta Europa, tanto che la strada, in questi giorni è diventata un unico parcheggio di minivan, con le targhe più disparate, che fanno manovra in spazi in cui sarebbe difficile parcheggiare una Smart. Molti degli ospiti di Radziwillowska però vogliono restare a Cracovia, o perché non sanno dove altro andare o perché sperano che tutta questa storia finisca presto. Per loro il centro, come altri simili nati in città, si adopera per trovare una casa, un alloggio, una stanza tra le migliaia che sono state messe a disposizione da proprietari, alberghi, studentati. 

    
E nel frattempo? Nel frattempo si aspetta. Si aspetta in questo stanzone ricavato da un teatro, tra volontari, cataste di coperte, pile di provviste. “Abbiamo cominciato il terzo giorno della guerra. Era un sabato. E da allora non ci siamo mai fermati. Lavoriamo 24 ore al giorno. Gli togliamo la paura di dosso – ci racconta una delle volontarie che, indaffaratissima, ci parla solo per il tempo di fumare una sigaretta – E mentre loro si riposano cerchiamo un posto dove farli stare, in Polonia o in Europa. In genere troviamo un centinaio di sistemazioni al giorno, il che significa che gestiamo tra le 300 e le 500 persone quotidianamente, visto che ogni alloggio serve per un gruppo familiare. Chi non riusciamo a collocare dorme qui, nelle stanze che abbiamo allestito di sopra”. Uno sforzo e un’organizzazione perfetti e impensabili, solo due settimane fa. “Sì – ci saluta la volontaria – Ma stiamo ancora imparando”. 

 

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