L'attesa

Putin si trattiene, non aggredisce Kyiv come potrebbe. Vuol dire che si negozia sottobanco

Daniele Raineri

I russi bombardano le città ma non vanno fino in fondo: c'è di più oltre al fallimento militare

Kyiv, dal nostro inviato. C’è un errore di interpretazione. E’ vero che i russi bombardano senza pietà città come Mariupol’ e Kharkiv, ma risparmiano il bersaglio più importante che è la capitale Kyiv – il luogo che decide chi vincerà la guerra. Potrebbero fare molto di più e invece non lo fanno. La Difesa russa martedì sera aveva annunciato che avrebbe bombardato con gli aerei i comandi dell’intelligence ucraina, ma poi non lo ha fatto. Sono edifici nel centro della città, in mezzo a palazzi delle istituzioni e a meraviglie storiche come la cattedrale di Santa Sofia, ma almeno per ora i russi hanno scelto di non colpire – se non il ripetitore della televisione. Intanto l’evacuazione di massa della popolazione civile di Kyiv dalla stazione centrale, con la gente che abborda i treni messi a disposizione gratis e spintona per l’ultimo posto, procede giorno e notte. Ma anche qui c’è qualcosa di strano. Agli aerei di Putin basterebbe colpire le rotaie che escono dalla capitale per fermare tutto e creare il panico: immaginarsi gli sfollati che restano imbottigliati dentro la città sul punto di essere assediata. Ma almeno per adesso i piloti russi non hanno ricevuto questo ordine. Anche nella percezione c’è qualcosa di sospeso, che deve ancora accadere. Fino a martedì gli allarmi aerei erano considerati un “al lupo, al lupo”, ma il lupo non arrivava mai, la faccenda  finiva con uno spostamento svogliato nei bunker e niente più. L’allarme squillava ogni due ore e la gente in strada non correva nemmeno. 

Da martedì gli allarmi aerei sono molto più rari, nella notte tra martedì e mercoledì ne è arrivato soltanto uno, ma adesso ottengono effetti concreti. C’è da chiedersi perché la macchina militare russa non aggredisce la capitale come potrebbe. Non è soltanto per una questione di fallimento militare, anche se c’è anche quel fattore. Secondo fonti del Pentagono i russi hanno perso duemila soldati, secondo Associated Press invece tra morti e prigionieri quel numero è cinquemila. Sono cifre enormi, il Cremlino si immaginava una guerra lampo per prendersi la testa del presidente Zelensky e invece adesso deve ricalcolare tutto. Ma il convoglio enorme di mezzi militari russi fermo da tre giorni a trenta chilometri dalla capitale, l’artiglieria russa che tace, gli aerei che non demoliscono bersagli e il fatto che i treni si muovano ancora avanti e indietro da Kyiv (si è mai viaggiato in zona di guerra a bordo di un treno?) lasciano intravedere una qualche forma di soluzione – che ancora non esiste nella realtà ma è considerata possibile. 

 

Tutto questo vuol dire che ci sono negoziati sottobanco, magari mediati da Israele, come dicono alcune fonti diplomatiche, oppure dal Vaticano o da altri ancora o da tutti assieme. E il risultato è che Putin trattiene i colpi più forti contro la capitale dell’Ucraina. E a volte questi negoziati arrivano in superficie e altre no, ma se ne possono osservare gli effetti sulla guerra – che non è soltanto cieca volontà di distruggere tutto, o almeno non lo è ancora per ora. Vuol dire anche che la reazione corale dell’occidente, che ha imposto sanzioni e bloccato servizi, ha funzionato più del previsto.

 

In questi anni abbiamo visto gli effetti della guerra totale in aree urbane. Qualcuno potrebbe voler trovare online i video dei bombardamenti sui sobborghi ribelli vicino a Damasco in Siria, che pochi anni fa hanno costretto tutta la popolazione a fuggire e hanno polverizzato file di edifici. Il governo del presidente Putin aveva incoraggiato e appoggiato quel tipo di guerra indiscriminata e oggi ce ne mostra alcuni assaggi in altre città ucraine. Il messaggio, in stile negoziato mafioso, è: non fateci arrivare a quel punto. E così scivolano via gli ultimi giorni di Kyiv prima dell’assedio totale, mentre la gente si prepara a resistere oppure salta sui treni che portano lontano.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)